"Dunque, madre: che cè?"
(William Shakespeare, Amleto)
Se cè un genere cinematografico di cui diffido è lhorror. Mi spavento allidea di spaventarmi per qualche trucco da quattro soldi, tipo la telecamera che indugia su un dettaglio raccapricciante. Uno di cui diffido moltissimo è Dario Argento, per dire.
Bene.
Laltra sera scanalavo alla ricerca di qualcosa da vedere per rincoglionirmi di televisione, e la scelta si riduceva a quanto pare a due reti. Su una facevano un film di zombie. Horror americano di serie B. Sullaltra rete, invece, Ballarò. Naturalmente ho scelto Ballarò.
Solo che a Ballarò cera Belpietro.
Lo dovevo sapere che cera Belpietro. Belpietro cè sempre. Viene mandato lì con unideale imbottitura di esplosivi, con la missione di farsi saltare in aria in mezzo alla trasmissione.
Insomma: a me Belpietro fa paura. Proprio fisicamente paura. Come Profondo Rosso visto in un maniero gotico deserto, durante una notte di tempesta, mentre in lontananza ulula un branco di lupi mannari.
Allora mi è successo di formulare quella tipica catena di pensieri che ti vengono al cinema quando vedi un film dellorrore.
Cioè, tu lo sai che non dovresti vederlo, ma lo vedi lo stesso, e mentre lo vedi ti domandi: ma perché lo sto vedendo?