"Il razzismo è come il culo: puoi vedere quello degli altri, ma non il tuo"
(Ascanio Celestini)
(Un frammento del testo che ho scritto per un convegno francese sulla follia letteraria)
Siccome prevedo che questo testo sarà letto da parecchi giovani, io vorrei essere drastico: la follia non agisce in alcun modo nel processo creativo. Lo dico chiaro e tondo perché circolano ancora molti stereotipi sullaccoppiata genio e sregolatezza. Si da per scontato che la sregolatezza sia il carburante del genio. Ebbene: non è così. Io non conosco scrittori che alimentino il lavoro con la follia. Semmai, al contrario, si giovano del sistema, dellordine con cui riescono a tenere imbrigliato il loro genio, ammesso che ce labbiano. Il resto è un alibi: per molti artisti, il fatto di avere un anche minimo talento creativo rappresenta a posteriori la scusa per comportamenti eccentrici o asociali. Ma non centra. La follia, quando si parla di creatività, nella maggior parte dei casi è come le spezie in certi ristoranti mediorientali: serve a coprire la cattiva qualità delle pietanze.
Certo, ci sono delle eccezioni: Bukowski, per esempio. Ma era lui stesso il primo ad ammettere che i suoi versi, scritti mentre era ubriaco, venivano riveduti e abbondantemente corretti dopo che era tornato apposta a essere sobrio.
E comunque, qualsiasi eccezione non vale la pena. Io arrivo a prendere le distanze persino dalla cosiddetta ispirazione, così tanto sopravvalutata e oggetto di parecchi fraintendimenti artistici. Vale sempre la percentuale fissata, credo, da Hemingway: il genio è al dieci per cento ispirazione e al novanta per cento traspirazione. Ossia sudore, disciplina, applicazione quotidiana.