"Se uno ha un martello, ogni cosa gli sembra un chiodo"
(Abrham Maslow)
(Oggi su "Sette")
La vicenda del tassista milanese Luca Massari, picchiato e ridotto in fin di vita per avere inavvertitamente investito un cocker, ha dei contorni ormai quasi inusuali, nel panorama di un Paese coi nervi sempre più a fior di pelle. Lo specifico della vicenda è che non sono coinvolti soggetti extracomunitari. Italiana era la vittima, italiani gli aggressori. Niente ragazze rumene uccise a pugni o rumeni violentatori. Lunico elemento che può suonare straniero è il nome di uno dei vendicatori: Morris, il fidanzato della proprietaria del cane. Ma il suo nome di battesimo è solo il vezzo di un genitore in vena di esotismi.
Suona quasi strano che tutto si sia consumato fra connazionali, in un quartiere popolare ma decisamente abitato da cittadini italiani, e che il linciaggio sia avvenuto a dieci minuti dal centro di una città che aspirerebbe a guardare decisamente più al Nord che al Sud del mondo.
Un conato di violenza tribale senza connotazioni razziste risulta spiazzante perché fa saltare tutte le motivazioni sociologiche più in voga: mancata integrazione, istinti bestiali di popolazioni barbariche, eccetera. Qui si tratta di italiani che si scrutano in cagnesco davanti allo specchio, non si piacciono e rompono lo specchio perché non si riconoscono come facenti parte della stessa comunità. Persino latteggiamento del pubblico, che ha assistito e poi coperto gli aggressori, è da manuale antropologico: tu, straniero, sei venuto qui a invadere il nostro territorio. Altro che futili motivi. Hai ucciso un membro del nostro clan, sia pure un cane, e meriti ti sia applicata lunica regola che riconosciamo: la legge del taglione.