"Non tutti lo sono, non tutti ci sono"
(Anonimo, allingresso del manicomio di Agrigento)
Ci vorrebbe la licenza, per poter usare certe parole.
Un patentino, come quelli che consentono di guidare lautomobile. Meglio ancora: una specie di licenza di pesca, che col numero chiuso garantisca il ripascimento della fauna lessicale.
Contro lipotesi di un calmiere poetico si potrà sostenere che ognuno è libero di fare quello che vuole: scrivere parole eccentriche che vadano a capo, e definirsi poeta. Né bisogna per forza avere un contratto con una squadra di serie A per concedersi una partitella fra scapoli e ammogliati.
Ma i se-dicenti poeti non si limitano a coltivare la propria passione con la consapevolezza dei dilettanti a cuor leggero. No: che lo sappiano o meno, con la loro proliferazione essi prosciugano le sorgenti stesse della poesia. E la poesia non è una risorsa infinita.
Un po come i combustibili fossili. Non si può attingere alla poesia senza porsi il problema delle risorse residue. Se egoisticamente si adopera centomila volte la parola anima, alla fine se ne sarà consumato tutto il significato, lasciando i posteri a cavarsela in un mondo ormai privato di qualsiasi anima.