LETTERA-CUBANA

Il brutto di andare a Cuba è che il viaggio comincia molto prima, quando gli amici vengono a saperlo e cominciano ad ammiccare. Strizzano l’occhio, danno piccole gomitate per dire: eh, bravo, te ne vai a Cuba.
Tu allora fai finta di non capire sperando che la cosa cada lì. Ma loro ci tengono che tu capisca e te lo spiegano anche: eh, le cubane. Che sei io fossi una cubana sarei di molto seccata, perché a quanto pare nell’opinione pubblica cubana è diventato sinonimo di senz’altro disponibile.
Di conseguenza chi va a Cuba risulta essere un puttaniere, e l’isola tutta un bordello dove andare a scaricare i propri bassi istinti amorosi.
Questo, badate bene, lo pensano tutti, ma proprio tutti, e in ogni caso. Tu puoi spiegare che vai per lavoro, che ‘ste cose non ti interessano. Ma se anche dicessi che stai andando per aprire un ospedale di Emergency, i tuoi amici penseranno sempre che l’ospedale è una scusa, e che con la copertura di Emergency qualche diversivo lo spunterai lo stesso, magari nei ritagli di tempo fra un’amputazione e l’altra.
Dopo questo trattamento psicologico preventivo, durante il quale sei chiamato a giustificarti di una colpa che non puoi materialmente ancora aver commesso, comincia il viaggio vero e proprio. E a questo punto hai già messo su un bel mucchio di pregiudizi.
Già sull’aereo ti verrebbe voglia di fare come Ulisse e farti legare per resistere alle sirene restando esposto alla tentazione, giusto per sapere in che cosa consiste questa famosa tentazione. A questo forse serve la cintura di sicurezza: a non saltare addosso alle hostess, cubane o meno che siano.
Poi arrivi e ti accorgi di guardare le ragazze in modo strano, pensando che in realtà siano loro a guardarti in modo strano. Le guardi e pensi: che cosa sta passando per la testa della poliziotta che mi controlla il passaporto? E l’addetta alle pulizie dell’aeroporto, sta forse aspettando il momento buono per cercare di stuprarmi?
Ma siccome la poliziotta si limita a controllare e l’addetta alle pulizie si limita a pulire, ti metti più tranquillo e magari ti rilassi un momento, che dopo il viaggio fa anche bene. Vai in albergo, ti cambi (a Cuba si suda parecchio), esci in strada e cominci a vedere che però, effettivamente, le ragazze ti guardano. Se sei solo ti guardano ancora di più, e guardano se le guardi. Se non le guardi, va tutto bene: tirano diritto e non succede niente. Ma se per caso vieni da un altro sud e ti capita di non controllare lo sguardo e ricambiare un’occhiata, sei fregato. Loro si avvicinano, sorridono e ti offrono compagnia. Oppure te lo dicono chiaramente: per dieci dollari ti faccio un pompino.
Ora io non so se a qualcuno di voi è mai successo di sentirsi offrire un pompino per dieci dollari - o più, o meno -, ma la cosa fa comunque un certo effetto. Non sai bene come devi regolarti, né cosa rispondere. Essendo appena arrivato non sai nemmeno se il prezzo è giusto o meno. Allora, siccome sei una persona colta te la cavi citando Bartleby lo Scrivano, sperando che lei l’abbia letto magari nella traduzione di Gianni Celati: avrei preferenza di no.
Il cento per cento delle volte però lei non ha letto la traduzione di Celati, e nemmeno l’altra, per cui pensa che tu sia scemo a essere italiano e a camminare per l’Avana tutto solo, se non ti interessa nemmeno un misero pompino da dieci dollari.
E te lo dice anche, questo suo pensiero.
(Parte prima di due)



Roberto Alajmo | 26/11/2012 | Letto [2691] volte

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