"Ci conosciamo abbastanza: diamoci del lei"
(Leonardo Sciascia)
(Da Repubblica)
Cera una volta il tempo in cui a crollare erano le case del centro storico. Era vecchio, il centro storico di Palermo. Era fatiscente, era abbandonato dagli stessi palermitani. Che le costruzioni venissero giù era nellordine delle cose, in assenza di manutenzione e di vita stessa al loro interno. Spesso non cerano vittime. O se qualcuno restava sotto le macerie si trattava di diseredati o extracomunitari, gente da mettere più o meno esplicitamente nella lista dei se lè andata a cercare.
Cera una volta, appunto. Adesso, ferma restando la fragilità del centro storico, linstabilità edilizia sembra aver esteso il suo contagio ad altre zone della città. Non ancora in viale Strasburgo, dove pure le facciate dei palazzi mostrano la loro lebbra malamente imbavagliata. Ma altrove sì.
In coincidenza con gli ultimi giorni del 2012 si sono registrati due eventi emblematici: il crollo di via Bagolino, col suo bilancio di morti, e lo sgombero demergenza di via Mazzini, nel più esclusivo centro residenziale della città. In entrambi i casi sembra esserci dietro larroganza di una sopraelevazione che non teneva conto della capacità di sopportazione delle opere murarie sottostanti. Uno, due piani realizzati in cemento armato al di sopra di costruzioni allantica. Sopraelevazioni di cemento armato alla siciliana, e cioè armato male.
In entrambi i casi i palazzi in sé non appartenevano agli anni dellabusivismo legalizzato. Erano stati tirati su sulla base dellesperienza di chi conosceva il mestiere di costruire. Esistevano a Palermo, fino agli anni Sessanta, molte imprese edilizie che padroneggiavano questo mestiere umile allapparenza ma esiziale, quando manca. A lavorare in queste imprese, e soprattutto a dirigerle, erano i discendenti di quegli stessi capomastri che avevano lavorato coi Basile nellultima stagione felice dellarchitettura palermitana. Poi erano magari cambiati i tempi, ma la scienza di tirare su i palazzi era rimasta, attraversando indenne il ventennio fascista: lultima epoca architettonicamente riconoscibile di Palermo. Discutibile, ma almeno riconoscibile.
La mutazione avviene allinizio degli anni Sessanta, e non è solo una mutazione urbanistica. Investendo nel sacco edilizio di Palermo la mafia e i suoi complici democristiani capirono che dovevano mettere innanzi tutto le mani sulle imprese edilizie, che vennero difatti capillarmente infiltrate di persone incompetenti e intise. Tanto incompetenti quanto intise. Chi arrivava al vertice aveva innanzi tutto il compito di far lavorare gli amici che gli amici segnalavano, a prescindere da qualsiasi altra considerazione.
È stato così che la sapienza dei mastri palermitani è stata dissipata nel giro di pochi anni, prima dei quali a nessuno sarebbe venuto in mente di costruire sopralevazioni come quelle di via Bagolino e via Mazzini. Siamo davanti a un danno anche antropologico di cui solo ora ci cominciamo a rendere del tutto conto. Fino ad oggi eravamo persino assuefatti alle considerazioni paesaggistiche che riguardavano la devastazione della Conca dOro. Adesso le preoccupazioni non sono più solo di ordine estetico. Ci sono cittadini di Palermo che rischiano di rimanere sotto le macerie delle loro case. E sono cittadini ricchi, mica i pezzenti o extracomunitari che abitano nelle baracche del centro storico. (Persino in via Libertà cè un palazzo in stile anni Settanta che a prima vista pende da un lato in maniera preoccupante. Magari non sarà niente, o le leggi della fisica statica non hanno ancora deciso di trovare applicazione in quella zona. Speriamo).
A restare vittima a vario titolo dei fatti di via Bagolino e via Mazzini sono persone innocenti, che vivevano nella loro casa convinte che linnocenza bastasse a garantire il loro diritto. Ma non è così. La ubris edilizia palermitana investe anche gli innocenti. Basta essere abitanti di questa città per meritarsi il castigo. Per quanto possa sembrare apocalittico: anche a Sodoma e Gomorra il giudizio di Dio non andò troppo per il sottile, facendo solo una minima scrematura di giusti ed ingiusti.
Abituiamoci allidea: a quanto pare gli anni della spensieratezza edilizia hanno presentato il loro conto. È arrivato il momento di pagarlo dividendo fra tutti.