"Chi è gay può dire frocio, ma chi non è frocio deve dire gay"
(Anonimo politicamente corretto)
(Una committenza: diario della scorsa giornata di campionato)
Quando in piena estate viene presentato il calendario di Serie A io ho labitudine di segnare in agenda alcune date importanti. Mi rendo conto che questo conferisce unaura da sfigato, tipo quel personaggio di Verdone che nella rubrica aveva due numeri: Stadio Olimpico e Olimpico Stadio. Ma insomma, pazienza.
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Oltre a quelle col Palermo io segno ogni anno altre due partite. Inter-Roma e Roma-Inter. Questo perché fra queste due squadre negli ultimi anni si è creata una spettacolare rivalità. Le partite finiscono con molti gol, in unalternanza entusiasmante sia in coppa Italia che in campionato. Al di là di ogni altra considerazione, Roma e Inter caratterialmente un po si somigliano. Come per leretico e linquisitore di Borges, la rivalità si è consolidata a tal punto che le due squadre finiscono per avere le stesse caratteristiche. Per lesattezza è la Roma che muta un po alla volta, e si sta progressivamente interizzando. Tanto più questanno che è allenata da Zeman, lallenatore perfetto per insidiare allInter il primato di squadra più snervante dItalia.
Stasera il posticipo è proprio Roma-Inter. Paella scongelata alla meno peggio e partita in tv con mio figlio nel ruolo di ospite donore. Arturo ha 17 anni ed è stato plagiato dal padre fin dalla più tenera età mediante, persino, il dono di un paio di calze nerazzurre da neonato. Interista fervente è rimasto fino a tre anni fa, perché in lui, paradossalmente, il triplete ha molto raffreddato la passione. Il suo ragionamento è stato: quando mai potrà ricapitare una stagione perfetta come questa? Al confronto tutto il resto sarà per forza un ripiegamento. Ergo: meglio non prendersela troppo a cuore. Come dargli torto, su un piano razionale? Si è ritirato allapice della sua carriera di tifoso. Da allora, complice ladolescenza, averlo accanto per seguire una partita in tv è un onore che mi ha concesso con una certa condiscendenza, sempre più di rado.
Il tacito accordo però è che quando lInter gioca col Palermo o con la Roma, allora sì, la vediamo assieme. O meglio: io la vedo e lui siede accanto a me col portatile sulle ginocchia, leggiucchiando manga, chattando col telefonino o facendo giochini elettronici per passare il tempo. Di tanto in tanto lancia unesclamazione standard (ah, uh, mh, sì, no), tanto per farmi credere che la sua generazione multitasking riesce a seguire la partita anche facendo altre due o tre cose contemporaneamente.
Si comincia. I primi venti minuti per lInter sono come quando il cavallo riesce a disarcionarti e parte al galoppo, ma il piede rimane impigliato nella staffa. I danni per fortuna sono limitati, perché linterizzazione della Roma comprende una forte tendenza dissipatoria. Il rigore di Totti è una specie di minimo riconoscimento alla giustizia del destino. (Arturo, ma cera, secondo te? Lui si tiene sul generico perché, anche se non lammette, non lha visto).
Il galoppo della Roma e il conseguente sbattimento nerazzurro finisce con un palo di Livaja in bello stile e poi soprattutto col pareggio di Palacio che arriva inatteso ma ben gradito. Arturo commenta: Vai! E quando mi volto lui sta in effetti guardando il televisore.
Il secondo tempo è davvero degno di un Roma-Inter, con squadre sbilanciate, attaccanti scialacquatori, difese in bilico perenne. Arturo continua a emette monosillabi a casaccio, come quando si finge di seguire la conversazione di una persona anziana e noiosa. Eppure la partita è una fiera delle occasioni perdute. Da un momento allaltro una delle squadre sembra poter prevalere. Non che giochino bene, nessuna delle due. Anzi, gli errori sono continui. Ma il complesso agonistico risulta molto avvincente. Questo è tipico di Roma e Inter. Ad appassionare il tifoso non è quasi mai la qualità del gioco, bensì la drammaturgia dellincontro. Vantaggi, rimonte, andamento del risultato, patemi ed entusiasmi: sembra tutto scritto da uno sceneggiatore scafatissimo, di quelli che sanno come incollare lo spettatore allo schermo. Ogni minuto cè un colpo di scena, e non importa se alla fine non succede nulla. Tutto potrebbe succedere, e tanto basta. Alla fine il pareggio provoca quasi sbigottimento. Già, è vero: esiste anche il pareggio.
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