"La lotta dell'uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l'oblio
"
(Milan Kundera, Il libro del riso e delloblio)
Spunta sul giornale l'ennesima galleria di figurine: i manager superpagati.
Fra gli schedati c'è il presidente di una Asl. Nome e cognome, più lo stipendio: 120mila euro l'anno.
Il manager in questione è in quota credo PdL, per cui non risulta certo simpatico ai miei occhi. Ma mi chiedo: che scandalo c'è a guadagnare dodici mensilità di circa 5500 euro per un incarico così delicato?
Non mi pare una cifra abnorme, al netto delle tasse. Ci sono manager privati che guadagnano cento volte di più per licenziare e distribuire ai proprietari dividendi inconsulti. Questo sì mi pare immorale. La forbice fra la paga di un operaio della Fiat e quella di Marchionne mi pare immorale.
Credo piuttosto che dietro il moralismo di chi si scandalizza per ogni pubblico stipendio, ci sia un difetto di prospettiva. Una distorsione che forse deriva dalla concezione del volontariato come forma di redenzione.
Viceversa esiste una concezione che definirei "protestante" del lavoro come legittima motivazione di legittimo guadagno.
In ogni caso, deve esistere da qualche parte un punto di equilibrio fra ascetismo e corruzione. Ecco: da quelle parti ci deve essere un paese normale.
Ormai c'è idealmente, sul desktop esistenziale di ognuno, un enorme tasto rosso con su scritto "INDIGNAZIONE", e il riflesso condizionato è schiacciarlo ogni due minuti, a prescindere da qualsiasi ragionamento. Al punto che ormai tutto è fonte di indignazione virtuale: e quando c'è davvero bisogno di indignarsi, non ci sono più risorse.