"Dunque, madre: che cè?"
(William Shakespeare, Amleto)
Le rappresentazioni classiche, ogni anno, sono un puro pretesto. Il vero scopo è tornare a Siracusa e immergersi nella sua luce.
Equivale al soggiorno termale che i nostri padri si concedevano grazie alla mutua. Solo che al posto delle acque c'è la luce di Ortigia, crudele e materna al tempo stesso - le madri mediterranee sono sempre almeno un po' crudeli.
C'è un bar in un angolo idilliaco di via Roma, coi tavolini piazzati sulla pubblica strada. Niente di che, il bar. Le sedie sono di plastica. Ma il contesto è formidabile, ideale per aprire un libro e abbandonarsi alla lettura.
Dopo un'ora di serenità arriva il proprietario che sollecita ad alzarsi e lasciar libero il posto: il tempo a cui avevi diritto, al prezzo di un caffè, è scaduto.
Ti guardi intorno, e in quel momento solo un altro tavolino su sei risulta occupato.
Segue battibecco e malumore: mattina avvelenata.
Certo, può darsi che il proprietario sia un campione particolarmente scorbutico e sgradevole.
E' una possibilità.
L'altra possibilità è che a noi siciliani, anche a quelli che di turismo dovrebbero campare, il fatto che vengano i turisti, e che poi tornino, per qualche motivo ci sta un po' sul cazzo.