"Quelli che la pensano come noi, appunto, sono quelli che non la pensano come noi"
(Leonardo Sciascia)
Difficile spiegare a una persona che non l'ha mai visto quali sono le qualità extra-cinematografiche che rendono "Barry Lyndon" il film di insuperata, struggente bellezza che è.
Banale spiegare lo studio che c'è nella perfezione formale di ogni inquadratura. Banale sottolineare la leggenda secondo cui ogni scena in interni sarebbe stata illuminata da Stanley Kubrick a forza di sole candele.
Il segreto sta nel fatto che dietro questo esercizio di perfezione formale esiste il pudore dei sentimenti. La lava della passione scorre sotto una lastra di ghiaccio, praticamente invisibile.
Eppure c'è: un sentimento cocente, ma tenuto sotto controllo formale o addirittura nascosto, è la forma suprema di bellezza.
Forse l'errore della vita vera consiste nel rivelare amore all'oggetto amato. Pena, l'effusione sentimentale che porta alla banalizzazione quotidiana. Arrivando troppo vicino al capolavoro si scoprono le imperfezioni, le meschinità, gli egoismi.
Bisognerebbe sempre amare a distanza, appagandosi dei campi lunghi.
E quando si va in interni: sempre e solo a lume di candela, come nelle inquadrature di Barry Lyndon.