"La lotta dell'uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l'oblio
"
(Milan Kundera, Il libro del riso e delloblio)
testo letto nella Chiesa Madre di Polizzi 28 dicembre 2005 La più bella definizione di Vincent Schiavelli io l'ho sentita da Mimmo Cuticchio: pare a cavallo pure quand'è a piedi. Io, più modestamente, aggiungo che pareva di profilo anche quando era di fronte. Ma quella di Mimmo è più bella, perché proietta Vincent Schiavelli nella dimensione donchisciottesca che gli appartiene di diritto. Perché donchisciottesca è stata l'ostinazione nel voler risalire la corrente delle sue origini. Questa era la sua pazzia, lasciare Hollywood, la posizione di rendita che in America era riuscito a conseguire, per venire a vivere a Polizzi. Non me ne vogliano gli amici polizzani: ma la maggior parte dell'umanità fra Hollywood e Polizzi, erroneamente preferirebbe vivere a Hollywood. Specialmente in inverno. Vincent Schiavelli no. Lui era una figura epica perché ebbe il coraggio di mettersi alle spalle trent'anni di carriera rimettendosi in gioco dall'altra parte del mondo. È anche vero che a Polizzi è stato accolto da vero principe. A Polizzi lo avete accolto come una creatura un po' sovrannaturale, come una specie di grande elfo. Cosa che in fondo, a ben vedere, lui era: un elfo sovradimensionato. Non ricorrerò ai luoghi comuni con cui in occasioni del genere è facile strappare una lacrima. Potrei rievocare la sua risata travolgente, il suo dialetto fossile, cristallizzato a cento anni fa, la sua miracolosa capacità di raccontare le storie, a cominciare da quella di Turidduzzu Mezzanotte, un film che lui avrebbe voluto girare e che nessuno girerà mai. Una cosa però la devo dire, che mi fa male, quando ci penso. È che Vincent Schiavelli io l'avevo conosciuto da poco, e non lo conoscevo prima che venisse a stare a Polizzi. Dal poco che ne ho capito però, lui era una persona felice. Ed era una felicità recente, perché si riconoscono, le felicità recenti. Vivere a Polizzi, innamorarsi di nuovo, rappresentavano per lui una specie di supplemento di infanzia che gli era toccato in sorte, e che si era predisposto a godere pienamente, con in più, rispetto alla comune infanzia, anche la consapevolezza dell'età adulta. A Polizzi aveva trovato la sua dimensione felice. Ecco: il mio dolore è che non sia riuscito a godersela pienamente, questa infanzia, questa felicità appena conseguita. Per questo noi oggi siamo tutti così tristi: perché non è morto solo un amico, non è morto solo un artista, non è morta solo una persona bellissima. Questo è il funerale di un bambino. Di una persona che era riuscita miracolosamente a tornare bambina. Quando muore un amico, io ho una abitudine: provo a fargli una telefonata. È una cosa un po' scema e inutile, perché serve solo a soffrire. Ho provato a chiamare anche Vincent Schiavelli, e questo fino a poco fa. Risponde sempre la sua voce. "Vicenzo sugnu", e poi la versione inglese, "please leave a message", eccetera. Ma questa parte in inglese è come tirata via, come qualcosa di secondario. L'orgoglio è tutto in quel "Vicenzo sugnu". Devo dire la verità: ho avuto la tentazione di cancellare il suo numero dalla lista del cellulare. Ma poi non l'ho fatto, perché ogni tanto credo che mi capiterà di chiamarlo ancora, se non altro per sentire la sua voce. Vi invito tutti a fare altrettanto: non cancellate il suo numero dalla rubrica telefonica. Così come sono sicuro che non potremo cancellarlo dalla nostra memoria.