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E' stato il figlio


L'INCERTO MESTIERE DEL LIBRETTISTA (II)

(Seconda parte)
...Poi un giorno di primavera mi telefona Sollima, per dire: guarda che forse Ellis Island si fa sul serio, c’è l’interessamento del Teatro Massimo, sei contento? Io sarei contentissimo, ma devo fare i conti con un’ancestrale pessimismo che mi porta a dubitare di qualsiasi cosa positiva possa capitare. Anche in questo momento, mentre scrivo, dubito che Ellis Island possa davvero andare in scena. In questo senso, futuro lettore, tu ne sai probabilmente più di me.
Malgrado il mio pessimismo, tuttavia, risulta vero: bisogna mettersi a lavorare sul serio. E quel che è peggio: devo mettermi a lavorare io, innanzi tutto. E’ arrivato il momento di pormi sul serio il problema di recuperare le pratiche di un mestiere scomparso, paragonabile allo spazzacamino o al tecnico perforatore delle schede che servivano a far funzionare i primi calcolatori elettronici: il librettista. Ci sono esempi moderni, naturalmente, soprattutto in area anglosassone; ma per un motivo o per un altro non sono modelli affidabili. Nelle conversazioni preliminari con Sollima l’unico punto fermo è cercare di smentire l’idea che il grande pubblico a torto o a ragione s’è fatto dell’opera contemporanea: qualcosa di abbastanza lungo da apparire punitivo. Una ragione in più per essere spaventati dall’impresa. Non resta che procedere con la navigazione a vista.
Nella committenza si può ipotizzare un viaggio-sopralluogo a New York, visto che non ci sono mai stato. Sollima invece sì, e ne ha tratto un’ispirazione implacabile. Io, invece, a costo di pentirmene mille volte, preferisco rinunciare: non voglio avere suggestioni realistiche che diventerebbero poi incrostazioni difficili da rimuovere dall’immaginario.
Mi procuro invece due cose. Primo: un mese e mezzo di ferie da destinare al lavoro. Secondo: tutte le informazioni possibili, dirette e indirette: foto, libri, articoli di giornale, internet. C’è un sito (www.ellisisland.com) dove oltre a una serie di notizie si trova un database liberamente consultabile con tutti i nomi di coloro che sono passati dall’Isola. Provate a cliccarlo e inserire il vostro nome e cognome. Mediamente verranno fuori due o tre omonimi che fra l’otto e il novecento sono partiti dalla vostra stessa città per cercare fortuna in America. E’ un esercizio molto utile e istruttivo: si possono scoprire antenati perduti e rinfrescare la memoria sui tempi fortunatamente andati, quando a emigrare sull’onda della disperazione eravamo noi italiani. Non è passato poi molto tempo, e un modo di dire siciliano ammonisce: ricordati di quando mangiavi nel cato.
Insomma, il lavoro di documentazione dura per diverse settimane (e sarà il caso qui di almeno ringraziare Dora Argento per il lavoro di documentazione iconografica). Seguono altre settimane di scrittura vera e propria, che consiste soprattutto nell’affastellamento dei materiali. La prima bozza è un caotico brogliaccio di cui vergognarsi, se non altro perché a prenderlo per buono ci vorrebbero tre giorni consecutivi di musica, molto più di quando si possa chiedere all’attenzione del pubblico contemporaneo. Sollima accoglie il brogliaccio sorridendo gentile e spazzando via praticamente tutto. Consapevole delle esigenze dell’arte, è con stoicismo vedo finire il frutto delle mie ferie nella spazzatura e mi rimetto al lavoro, stavolta fianco a fianco con lui.
In questo modo vengo a scoprire che del lavoro fatto abbiamo gettato via la forma, ma non buona parte della sostanza. Fermo restando l’aureo principio secondo cui prima viene la musica e poi le parole, mi piego a tutte le esigenze del compositore. Taglio e butto, taglio e butto. Cucio e butto, cucio e butto. Aggiusto e butto, aggiusto e butto. Soprattutto: butto. Anche roba non del tutto spregevole, modestamente: butto e butto, butto e butto. Se un giorno volessimo fare un Ellis Island 2 il materiale sarebbe già praticamente bell’e pronto. Sollima ha fonti imperscrutabili negli Stati Uniti, che gli forniscono spunti sempre nuovi e diversi. Io tenderei alla sintesi, mentre lui non ha paura della mole di documentazioni che continuiamo a raccogliere.
(2, segue)

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Roberto Alajmo | 26/05/2010

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