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DETTAGLIO GROTTESCO: IL COCKER SI CHIAMAVA JOE

(Oggi su "Sette")
La vicenda del tassista milanese Luca Massari, picchiato e ridotto in fin di vita per avere inavvertitamente investito un cocker, ha dei contorni ormai quasi inusuali, nel panorama di un Paese coi nervi sempre più a fior di pelle. Lo specifico della vicenda è che non sono coinvolti soggetti extracomunitari. Italiana era la vittima, italiani gli aggressori. Niente ragazze rumene uccise a pugni o rumeni violentatori. L’unico elemento che può suonare straniero è il nome di uno dei vendicatori: Morris, il fidanzato della proprietaria del cane. Ma il suo nome di battesimo è solo il vezzo di un genitore in vena di esotismi.
Suona quasi strano che tutto si sia consumato fra connazionali, in un quartiere popolare ma decisamente abitato da cittadini italiani, e che il linciaggio sia avvenuto a dieci minuti dal centro di una città che aspirerebbe a guardare decisamente più al Nord che al Sud del mondo.
Un conato di violenza tribale senza connotazioni razziste risulta spiazzante perché fa saltare tutte le motivazioni sociologiche più in voga: mancata integrazione, istinti bestiali di popolazioni barbariche, eccetera. Qui si tratta di italiani che si scrutano in cagnesco davanti allo specchio, non si piacciono e rompono lo specchio perché non si riconoscono come facenti parte della stessa comunità. Persino l’atteggiamento del “pubblico”, che ha assistito e poi coperto gli aggressori, è da manuale antropologico: tu, straniero, sei venuto qui a invadere il nostro territorio. Altro che futili motivi. Hai ucciso un membro del nostro clan, sia pure un cane, e meriti ti sia applicata l’unica regola che riconosciamo: la legge del taglione.

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Roberto Alajmo | 28/10/2010

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