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IN MEMORIA DI FELICITA BOSCHI

(E' uscito "Guida ai 49 martiri italiani, scritto assieme a Lidia Ravera. Ecco un assaggio)

Si è affacciata alla finestra spinta dalla curiosità. Vuole guardare. Ha sentito che in città, il giorno prima ci sono stati un sacco di spari. Forse anche oggi succederà qualcosa. Visto dalla finestra è tutto un teatro, ma la scena per il momento sembra vuota. Anzi no: quello laggiù sembra un cannone. Forse lo spettacolo sta per cominciare.

Felicita Boschi ha nove anni e mezzo. Suo padre fa il maniscalco e abitano in viale Magenta. Il giorno prima, 7 maggio 1898, c’è stato un gran tumulto in piazza Duomo. E l’esercito per la prima volta ha sparato sui manifestanti. Le rivoluzioni si fanno, o si tentano, quando la pancia è vuota.
...
Fra i caduti del sabato non ci sono solo rivoltosi, anzi. Nella maggior parte dei casi si tratta di passanti o curiosi che pensano di vedere cosa succede restando sul marciapiede, pensando che il marciapiede rappresenti terreno neutrale. Quando l’esercito comincia a sparare, scoprono che trovarsi sul marciapiede non esonera dal morire.
Nella giornata di domenica l’epicentro degli scontri si sposta nella zona di porta Genova. Sul ponte del Naviglio Grande, alla fine di via Vigevano, spunta un cannone solitario che comincia a sparare sul nulla, forse a scopo puramente intimidatorio. In quel momento non c’è nessun segno di rivolta, nella strada. Il cannone spara sulle strade deserte, sulle case. Anche sulla casa dove abita la bambina Felicita Boschi, che in quel momento si trova alla finestra insieme a una vicina e viene colpita da una scheggia. Al padre la politica non è mai interessata. Ha la sua bottega, lavora e basta. È lui il primo a non capire, a prenderla tra le braccia per tutti i venti minuti che ci mette a morire.
Il giorno dopo arrivano tre carrozze a prendere il cadavere di Felicita Boschi: sulla prima, i becchini; sulla seconda, le casse da morto già riempite; sulla terza quelle ancora da riempire. Per una bambina di nove anni il trattamento non è diverso da quello di tutti gli altri. Per prima cosa le tolgono i vestiti che aveva addosso quando è morta. Fra le urla della madre la spogliano andando per le spicce, tagliando la stoffa con forbici e coltello. Il padre di Felicita dirà che sembrava la trattassero come se fosse morta di colera, e forse nelle parole di quell’uomo semplice echeggia la peste raccontata da Manzoni nei Promessi sposi. Il corpo di Felicita Boschi, nudo per com’è, viene fotografato, e la foto viene mandata assieme a tutte quelle delle altre vittime al comando militare. Per l’efficienza dimostrata in occasione dei tumulti milanesi, al generale Fiorenzo Bava Beccaris verrà concessa la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia.

(Immagine di Grazia Grasso)

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Roberto Alajmo | 10/11/2010

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