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EDUCARE AL CONFORMISMO E RISCHIARE IL MOLTO PEGGIO

(Oggi su Repubblica)
B. è una quindicenne di Palermo che ha partecipato attivamente alla recente stagione della protesta studentesca. È una ragazza intelligente e anche colta, per gli anni che ha, ma anche vivace ed estroversa al limite della continua provocazione nei confronti del mondo degli adulti, di recente soprattutto sul piano dell’impegno politico.
(...)
Di recente però le è arrivato il conto di quella sua prima breve stagione di impegno. Così come in queste settimane a diversi studenti stanno arrivando le denunzie per i fatti di quei giorni. A lei, invece, il conto è arrivato assieme alla pagella del primo quadrimestre. Tutti ottimi voti, beninteso. Tranne uno. Un sei. In condotta.
Il sei in condotta indubbiamente rientra nella discrezione dei professori, ma a patto che le motivazioni siano limpide e indiscriminate. Per esempio: sarebbe del tutto comprensibile, se non condivisibile, il caso in cui il sei in condotta sia esteso a tutti gli alunni di un Istituto che hanno partecipato all’occupazione. Invece no: l’unico sei in condotta della sua classe è toccato a B.
Questo lei ha fatto notare ai professori che sono stati ad ascoltarla: ma se l’occupazione è stata votata e approvata dalla maggioranza dell’assemblea degli studenti, perché il sei in condotta l’avete messo solo a me? La risposta dei professori è stata: perché tu ti sei esposta. La povera B. ci è rimasta malissimo, ma ha reagito mettendosi a studiare anche più di prima, e speriamo che metabolizzi questa vicenda nella maniera più indolore. Speriamo anzi che il tempo e il suo carattere rimuovano soprattutto la motivazione che le è stata data per il sei in condotta.
Speriamo per lei, ma anche per noi, che con i giovani come lei dovremo fare i conti in futuro. “Perché tu ti sei esposta” rappresenta, nella migliore delle ipotesi, un’esplicita esortazione all’ipocrisia. B. è stata in sostanza invitata a “quartiarsi”, come orribilmente si dice nella parlata e nella cultura siciliana. Da oggi questa quindicenne sa che dovrà sempre avere l’accortezza di camuffarsi nel branco, se proprio non è disposta a rinunciare alle proprie idee. A lanciare il sasso e nascondere la mano, se non addirittura accusare qualche compagno di averlo lanciato lui, quel metaforico sasso.
Quale messaggio stiamo dando noi adulti a questa ragazza? Uno solo, semplicissimo: fatti furba. Può avere la pretesa di essere educativo, questo messaggio? L’imprinting sociale che B. ha appena ricevuto, dal suo punto di vista può portare solo a due possibili, opposte conclusioni: o il conformismo, o la clandestinità. Può scegliere: o decide di nascondere le proprie idee, rinunciando a quelle che possono risultare sgradite al resto del mondo. Oppure - peggio ancora, dal punto di vista della società - calarsi il passamontagna sulla faccia e fare il primo passo verso l’eversione.
La protesta giovanile in Italia è entrata in un cono d’ombra, in concomitanza con gli scrutini e poi con il rush degli esami. Ma tornerà, tutti sappiamo che tornerà. E gli insegnanti, per quanto bistrattati dal sistema scolastico, hanno il dovere di porsi i problemi che il loro ruolo impone. Primo fra tutti quello di insegnare ai giovani che fra l’estremismo e il conformismo esistono dei gradi intermedi in cui si ha il diritto e il dovere di tenere il cervello ancora attivato. A maggior ragione quando tutti gli altri sembrano averle messo il loro in stand by. Ragionare sempre, responsabilizzarsi, avere il coraggio delle proprie idee. Eventualmente pagare per esse, ma nell’ambito di un sistema di regole e sanzioni che risulti equo e condiviso.
Se i suoi insegnanti non lo capiscono, e quindi se non glielo spiegano, possiamo solo sperare che B. ci arrivi da sola. Buona fortuna: a lei e anche a tutti noi.

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Roberto Alajmo | 16/03/2011

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