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PETROLINI E LA GESIP

(Da Repubblica)
Quella dei lavoratori della Gesip somiglia molto alla rivolta delle scope in Topolino Apprendista Stregone. Palermo viene travolta per ricattare l’Apprendista Stregone che ha prima creato l’anomalia e poi l’ha foraggiata per tanti anni. Salvo adesso non sapere più come gestirla.
In questi casi le regole del politicamente corretto prevedono che ogni condanna dei disordini si accompagni alla precisazione: la violenza di pochi facinorosi non deve inficiare le ragioni della categoria. E pure vero, però, che nella categoria dei lavoratori della Gesip i violenti non sembrano essere pochi, e di sicuro sono ben coperti, visto che fra i moderati non si riesce a trovare nessuno che si preoccupi di fermare la violenza. Allora, almeno per questa volta, risparmiamo la vaselina del politicamente corretto e diciamolo: il problema non è la violenza di pochi, ma la connivenza di molti. A pensarci bene, funziona così per un sacco di cose, qui in Sicilia.
Una volta a Ettore Petrolini in teatro capitò uno spettatore che dal loggione lo disturbava in continuazione. Petrolini lo sopportò fin quando gli fu possibile, ma a un certo punto non ce la fece più, interruppe la recita e si rivolse al disturbatore: “Io non ce l’ho con te. Ce l’ho con quello accanto a te, che ancora non ti ha buttato di sotto”. Ecco: in questa situazione, e generalmente in Sicilia, è inutile prendersela coi prepotenti, coi disturbatori della convivenza civile. Una quota di vandali è fisiologica in ogni contesto. La differenza siciliana – o forse ormai: italiana – consiste nel brodo di coltura. Più costruttivo sarebbe quindi sensibilizzare quelle zone di connivenza che consentono ai prepotenti di agire indisturbati.
Il discorso si farebbe lungo, volendolo estendere in altri ambiti. E anche ingiusto, fondato su illazioni, se si parla dei lavoratori della Gesip. Ma una cosa è certa: senza la zona grigia composta dalla folla di coloro che quando vedono un’illegalità si voltano dall’altra parte, la vita dei prepotenti sarebbe molto più complicata. Per cui in teoria hanno ragione i precari che rivendicano la propria innocenza, ma non pretendano di ricevere la solidarietà della cittadinanza presa in ostaggio, se avallano certi metodi.
(...)

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Roberto Alajmo | 21/04/2011

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