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E' stato il figlio


QUASI UN COMING OUT

(Da Repubblica)
Noi tifosi palermitani dell’Inter, quando si gioca col Palermo di solito ammettiamo solo un piccolo languore. Dopo il dubbio iniziale, però, diventiamo pragmatici. Il Palermo è il Palermo, ma l’Inter è l’Inter. E nell’assoluta irrazionalità del tifo calcistico, pretendiamo pure di trovare delle motivazioni razionali. Una vittoria in più per il Palermo vale quel che vale, mentre l’Inter cerca quasi sempre lo scudetto. Ergo, abbiano pazienza i rosanero: noi abbiamo una missione da compiere.
Il problema nasce dal fatto che per anni, come tutti i palermitani, abbiamo avuto diritto a una doppia cittadinanza calcistica, visto che la squadra della nostra città galleggiava perennemente nelle serie minori.
Il dilemma vero è cominciato solo negli ultimi anni. Più o meno quando il Palermo è ritornato in serie A, l’Inter ha ricominciato a vincere. Una concomitanza imbarazzante. Mentre i tifosi delle altre grandi squadre hanno trovato facile riposizionare il proprio tifo calcistico, per noi interisti questa riconversione è risultata più difficile. Dopo anni passati a leccare la sarda, come potevamo rinunciare al nostro risarcimento morale e materiale?
Detto questo, in finale di Coppa Italia, io tiferò per il Palermo. Stavolta sì. E non credo di essere l’unico, specie fra i tifosi palermitani dell’Inter che hanno almeno una cinquantina d’anni, quelli che hanno fatto in tempo a vedere la finale del ’74. Una partita che per un paio di generazioni è stata vissuta come uno scippo della storia, qualcosa di paragonabile al sopruso del soldato francese sulla ragazza siciliana da cui scaturirono i Vespri, una ferita morale da raccontare ai figli per trasmettere loro il desiderio di rivalsa. Lo shock di quella finale perduta ha rappresentato per tutti questi anni uno dei grandi miti cittadini, quasi un’allegoria delle ingiustizie subite attraverso i secoli da Palermo, che si considera sempre vittima dei complotti del Potere Nordista. L’arbitro di quella partita divenne un capro espiatorio valido anche in ambiti extracalcistici. Per molti anni si disse “Arbitro Gonella” come sinonimo del più classico degli insulti: “Arbitro cornuto”.
In effetti a rivedere oggi le immagini di quella partita viene ancora il magone. Ma non tanto per colpa di Gonella, che al novantesimo fischiò un rigore che la leggenda metropolitana vuole inventato di sana pianta. Il rimpianto riguarda semmai la tempistica dell’ultimo minuto e la serie di gol a porta vuota che Magistrelli si era divorato in precedenza. A voler giudicare onestamente, al novantesimo si vede Arcoleo travolgere Savoldi arrivando da dietro in preda a un inspiegabile furore. Il novantesimo è novantesimo, ma il rigore è rigore.
(...)
Ce n’è abbastanza, comunque, per aspettarsi un risarcimento della Storia che rimetta le cose al loro posto e riesca a sedare il rancore calcistico, magari togliendo un piccolo alibi al vittimismo autoassolutorio cittadino, che è tipico. Leviamoci il pensiero e guardiamo al futuro. Nessuno più di un interista può capire il desiderio di rivincita e il valore di certi risarcimenti morali. E poi l’Inter quest’anno ha già vinto la coppa Intercontinentale. Per cui, almeno stavolta, abbia pazienza: sia lei a scansarsi e lasciar passare la Storia.

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Roberto Alajmo | 27/05/2011

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