CON LA CULTURA SI MANGIA ECCOME
(Da Il Mattino)
Il museo somiglia a un ciclopico foglio di carta argentata buttato per terra, però bellissimo.
(...)
Quando venne aperto, esattamente quindici anni fa, il Guggenheim di Bilbao rappresentava un azzardo architettonico e non solo. Tutto intorno c’era ancora un’area fluviale molto degradata, e l’edificio doveva sembrare ancora più di oggi un’astronave atterrata in emergenza. Verso la fine del millennio scorso Bilbao si trovava alle prese con un brusco risveglio. Aveva sognato almeno dal dopoguerra di essere una città industriale come in Italia potrebbe essere Terni o Taranto. Poi il sogno svanì, le fabbriche cominciarono a chiudere una dopo l’altra e la città divenne ancora più depressa e depressiva di quanto fosse in partenza.
Vennero allora mobilitate intelligenze pubbliche e private per sceneggiare un nuovo sogno. Il primo passo fu affidare a Norman Foster il progetto per le imboccature della metropolitana. Questi gusci di vetro e metallo entrarono a far parte del paesaggio urbano, e ai bilbaini piacquero abbastanza. La metropolitana è qualcosa che adoperi ogni giorno. Ti serve, e tanto meglio se è abbastanza bella da suscitare l’orgoglio dell’appartenenza civica. L’ingrediente “moderno” venne metabolizzato facilmente. Ma era niente in confronto al nuovo sogno in arrivo: un museo come non se ne sono mai visti al mondo. Questo sì, fu difficile da far digerire alla cittadinanza. Basta immaginare come avrebbero reagito gli abitanti di Terni o Taranto se qualcuno avesse proposto di dare un pacco di milioni a un architetto visionario per fargli costruire un ciclopico foglio di carta argentata accartocciato e buttato lì. In un posto dove, fra l’altro, un turista non s’era mai visto.
In Europa funziona così: si discute, si litiga se è il caso, e nei paesi baschi si tende a litigare parecchio. Ma poi si realizza. La paralisi italiana prevede le prime due fasi, ma alla terza non si arriva quasi mai. Per dire: a Palermo una decina di anni fa erano stati avviati dei contatti con la Fondazione Guggenheim per replicare l’esperimento. Era stato anche individuato un palazzo nobiliare da riprogettare come spazio espositivo. I responsabili della Fondazione arrivarono in Sicilia, guardarono negli occhi gli interlocutori indigeni che proponevano l’investimento culturale, ripresero l’aereo e non tornarono mai più.
A Bilbao le cose sono andate diversamente. L’astronave di Frank O. Gehry è atterrata in mezzo a molte polemiche, ma non s’è ancora trovato nessuno disposto a dire che è brutta. Semmai le critiche sono state di genere diverso. Un contenitore del genere può solo far impallidire il contenuto. Quale esposizione potrebbe competere con uno spazio del genere? La risposta è semplice: e con ciò? Perché accontentarsi di avere un museo di arte contemporanea, se si ha la fortuna di possedere l’arte contemporanea in sé? A fronte di una sovraesposizione dell’involucro esterno, l’interno del Guggenheim di Bilbao non è molto conosciuto. Forse anche per questo certuni hanno avanzato l’ipotesi che con tutte le sue superfici ondulate fosse poco adatto all’esposizione di opere d’arte. Manco questo è vero: ci sono le sale eccentriche e ci sono le sale classiche, e tutte sono modulabili a seconda delle esigenze espositive. In quella più grande, una specie di hangar lungo centotrenta metri, si trova una colossale installazione realizzata da Richard Serra. Muovendosi al suo interno, il visitatore è una specie di Pinocchio nel ventre della balena, in condizioni di provare l’inedito, emozionante orgoglio di essere contemporaneo di un’opera del genere.
Nell’arco di quindici anni, il Guggenheim ha culturalmente fertilizzato l’intera città. Poco distanti sono sorti un ponte di Calatrava e tre edifici firmati da Rafael Moneo, César Pelli e Álvaro Siza, che al confronto sembrano banali parallelepipedi, ma hanno contribuito anch’essi a trasformare il Bronx di Bilbao in un’area turisticamente fra le più appetitose di tutta la Spagna.
Il turismo è diventato la prima industria della città. L’anno scorso dal Geggenheim è transitato quasi un milione di visitatori. E si tratta di turismo d’elite, il genere più raro e conteso, disponibile a spendere in cambio di servizi all’altezza. Viene in mente la frase pronunciata da un recente ministro italiano: “Con la cultura non si mangia”.
Certo, il modello Bilbao non è riproducibile ovunque, se non altro perché il museo di Frank O. Gehry è una delle meraviglie del mondo, l’edificio più clamoroso costruito almeno dal dopoguerra a oggi. Ma qualcosa bisognerà pur inventarsi per vincere il nostro destino di Paese anchilosato, e provare almeno a sgranchirsi un po’.