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BRUCIO ERGO SUM

(Da Il Mattino)
Solitamente i giornali sono restii a dare notizia dei suicidi. Da un canto c’è rispetto per il dolore di chi muore e di chi resta. E poi bisogna tenere sotto controllo l’effetto emulazione. Il discorso cambia se alla disperazione di base si aggiunge la protesta. Quello dei bonzi o quello di Jan Palach sono suicidi di questo tipo, messi in pratica apposta per richiamare l’attenzione su un tema cruciale che altrimenti rischia di essere messo a tacere. Per questo si sceglie il fuoco: una morte particolarmente dolorosa ma spettacolare, antica e moderna al tempo stesso. Antica: Auto da Fè, Atti di Fede erano chiamati i roghi dell’Inquisizione, e pure un atto di fede, seppure diametralmente diverso, è il sacrificio di chi decide di darsi alle fiamme per dare risonanza a un ideale. Ma si tratta di una morte anche drammaticamente moderna: dandosi fuoco in piazza si può contare su una risonanza che altrimenti difficilmente è destinata ad arrivare. Anche le rivoluzioni nei paesi arabi sono divampate dopo che un giovane uomo si era dato fuoco in un paese del sud della Tunisia.
Chi si uccide, nella maggior parte dei casi, vuole lasciare il mondo e spera che il mondo si dimentichi di lui. Lo stesso vale per i parenti della vittima: il suicidio, nella maggioranza dei casi, è una vergogna da tenere nascosta. Il gesto dell’uomo di Bologna invece rappresenta una mutazione, almeno in Italia e nell’Europa dell’opulenza. Alla disperazione stavolta qualcuno ha deciso di non abbinare la vergogna, ma anzi l’ostentazione. In effetti c’era stata negli ultimi mesi, da un capo all’altro del Paese, una serie di suicidi “pubblici” riconducibili alla crisi. Imprenditori in difficoltà o poveri disoccupati che sono finiti sui giornali uscendo dall’anonimato che solitamente si accorda a chi decide di togliersi la vita. Prima di questa serie, l’impressione generale era stata di vivere una crisi attutita, che ciascuno era chiamato a vivere nella propria dimensione privata. Da tre mesi, più o meno, si è cominciato a parlare più apertamente del momento nero che stiamo vivendo. È caduta una maschera, e ciascuno adesso è consapevole di non rappresentare soltanto una monade in depressione. Il problema esiste ed è collettivo.
Naturalmente gli obiettivi sono sempre discutibili: l’accanimento erariale, il cinismo delle banche o un datore di lavoro dal licenziamento facile. Quasi sempre si tratta della protesta contro un sistema di regole economiche e finanziarie che non tengono conto del fattore umano. L’individuo allora sale alla ribalta per dimostrare di esistere, seppure in extremis. A risultare allarmante è la moltiplicazione di casi del genere. Gente che non ha più niente da perdere e decide di morire lasciando un messaggio al mondo che rimane. Trasformando anzi in messaggio la propria stessa morte.
È probabile che il rogo del monaco tibetano in India, qualche giorno fa, con il risalto che ha avuto anche in Italia, sia stata fonte di ispirazione per questo primo caso di cittadino italiano che decide di darsi fuoco per protesta. E il timore è che l’effetto emulazione nei prossimi tempi possa fare da moltiplicatore.
Non si possono nascondere le notizie, come fece la stampa cecoslovacca all’indomani del suicidio di Jan Palach, quando moltissimi altri giovani si uccisero col fuoco senza conseguire, a causa della censura del regime, manco il nome sul giornale.
L’unica è sperare che la disperazione lasci sul terreno il minor numero possibile di vittime.

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Roberto Alajmo | 30/03/2012

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