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LE CENERI DI PIRANDELLO


BISOGNAVA CHIAMARLO VITTORIO

Capita camminando. Basta che ci sia una porta a vetri mezza aperta, o un gioco di riflessi su una vetrina.
Improvvisamente ti ritrovi davanti una persona che conosci: te stesso. Non ci dovresti essere, per cui rimani frastornato. È questione di un istante, e in quell’istante la prima impressione è di antipatia. Capisci chi sostiene che a prima vista sembri antipatico. Sembri antipatico persino a te stesso. E goffo.
Prima di realizzare che si tratta di un riflesso fai in tempo a provare pure un altro soprassalto, diverso e ancora più spiazzante. In quel mezzo istante pensi: che ci fa qui mio padre?
Perché a guardarti senza filtri, la somiglianza fa impressione. Identico ovale, identica camminata curva a piedi divaricati – la stessa che tuo figlio, povero lui, sta ereditando.
Basta quell’istante per archiviare una quarantina d’anni di dissenso integrale, durante i quali hai sempre pensato che più diversi non potevate essere.
Invece adesso scopri che invecchiando sei diventato uguale a lui, anche in quella degenerazione caratteriale che i siciliani chiamano grevianza.
Basti citare l’ultimo dissapore: per non aver trasmesso a tuo figlio il nome del nonno. Il nome della continuità fra le generazioni.
Oggi devi ammettere che – forse approssimandosi il tuo, di commiato - hai cambiato idea: e aveva ragione lui.

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Roberto Alajmo | 16/10/2012

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