SI CHIAMAVA ROSARIO LIVATINO
(Quasi contemporaneamente a "Le scarpe di Polifemo", di cui vi ho già detto, ho deciso di ripubblicare un altro vecchio libro uscito a metà degli anni novanta: "Almanacco siciliano delle morti presunte". Questo esce ora con Il Palindromo, editore giovane che secondo me si farà strada. Questo è il capitoletto dedicato a Rosario Livatino)
Forse, forse poteva riuscire a fregarli. Se nera accorto in tempo, era sceso dalla macchina, laveva lasciata sulla statale e adesso correva fra le sterpaglie. Certo non era in forma e, per quanto giovane fosse, quelli erano più giovani di lui. E poi non cerano ripari, né gente. Nessuna anima viva da nessuna parte.
Di buono cera che poteva contare su un certo van- taggio. Dieci metri ai quali bisognava aggiungere tutta la disperazione di cui era capace.
Ripresero a sparare. Già un paio di volte lavevano mancato per poco.
Poi gli bruciò il braccio, ma il braccio non gli serviva per fare quello che doveva fare, cioè correre. Aveva corso un centinaio di metri quando gli sembrò come se qualcu- no gli avesse fatto lo sgambetto. Cadde, e subito arrivò un bruciore uguale a quello del braccio. Provò ad alzarsi e non ci riuscì.
Guardò dietro e capì di essere spacciato perché quelli avevano smesso di correre e si avvicinavano con calma.
Arrivarono. Uno di loro gli poggiò la pistola sulle lab- bra. Voleva che le aprisse, ma lui non le aprì.