REMIX: MORIRE, SCOMPARIRE
Uno dei primi ricordi dinfanzia è per me la morte di un signore che nemmeno conoscevo. Era una domenica degli anni 60, durante un pranzo familiare, al ristorante della Pensione Azzurra, in via Stesicoro, a Mondello.
Era morto fra il secondo e il dessert, e questa morte già allora, da bambino, mi era sembrata particolarmente oscena.
Oscena in quanto pubblica, sottoposta agli opposti estremismi della curiosità e dellindifferenza dei presenti.
La morte pubblica porta in sé il corollario delloscenità. Lincidente per strada, lo scempio dei corpi, e la coda che si forma di automobilisti che rallentano per guardare.
A quanto pare è un istinto invincibile, come un gatto spiaccicato sul ciglio del marciapiede: tu sai che ti farà orrore, ma non puoi fare a meno di guardare.
Esisteva una tradizione presso certe tribù indiane dAmerica. Gli anziani, quando sentivano di aver vissuto abbastanza, si allontanavano dalla famiglia per andarsene a morire in segreto.
Dallo stesso pudore viene l'ingegno di certi grandi - Ettore Majorana, Federico Caffè - capaci di architettare la propria sparizione e rendere letterale quello che convenzionalmente è solo un eufemismo: la morte come scomparsa.