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DOVEVO PORTARCI MIO FIGLIO

Kohlhaas, raccontato da Marco Baliani: un'ora e venti appeso alle labbra di un uomo solo, seduto su una sedia, e nient'altro.
Il segreto, forse, sta nel fatto che Baliani non racconta: mostra. Intorno a lui, con la forza che sprigiona dalla sua voce e dai suoi soli gesti si anima un modo di felicità, ingiustizia, guerra, amore e morte. E tutto questo non lo immagini: lo vedi.
Il corpo stesso dell'attore è teatro, senza staccare neanche per un momento il sedere dalla sedia.
Vedendolo, si pensa ai Prigioni di Michelangelo, alla loro potenza costretta in vincoli, e perciò ancora più impressionante.
Uno di quegli spettacoli durante i quali tu pensi costantemente: perché non ho portato mio figlio?
Vale anche quando si ha un figlio che ha superato l'età in cui ci si vogliono sentire raccontare le storie, perché in realtà l'età in cui ci si vogliono sentire raccontare le storie non si supera mai.

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Roberto Alajmo | 30/05/2014

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