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A MACCHIA DI GATTOPARDO

(Dall'Arte di Annacarsi, che risale a dieci anni fa, ma resta ancora attuale)
C’è, fra i Mimi siciliani di Francesco Lanza, un racconto che pare perfetto per esemplificare lo spirito che presiede all’Arte del Rattoppo così come si è andata affermando attraverso i secoli nell’Isola.
Nel racconto in questione, a una massaia che possiede un grembiule molto logoro viene finalmente regalato un grembiule nuovo e bello. La donna accoglie il regalo con gioia: dopodiché adopera la stoffa del grembiule nuovo per rattoppare quello vecchio. Allo stesso modo, a Palermo ci si è specializzati nell’adoperare la stoffa dei vestiti nuovi per rammendare gli indumenti vecchi. C’è sempre una macchia di colore appena passato, da qualche parte: un colore quasi uguale a quello vecchio, ma non proprio uguale. Il colore risalta, e fa nascere la convinzione di trovarsi in perpetuo sul punto di tornare a un periodo felice, un’infanzia collettiva che non si riesce a collocare temporalmente in un’epoca precisa. Questa costellazione di rattoppi sgargianti nel tessuto della città è distribuita in maniera discontinua. Altrove si direbbe “a macchia di leopardo”, mentre qui è più giusto dire “a macchia di gattopardo”. Dove alla sporadicità del rattoppo corrisponde anche una vocazione alla pura apparenza. Qualcosa è cambiato, ma nella certezza che la sostanza delle cose sia rimasta quella che era. Ci siamo annacati un po’, ma siamo sempre allo stesso punto.

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Roberto Alajmo | 12/09/2020

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