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E' stato il figlio


LA CASA (seconda parte)

(...)La mia casa aveva una bella terrazza sul mare. Ero io, semmai, che mi piazzavo a leggere sempre sull’altra terrazza, più piccola e riparata, per sfuggire agli schiamazzi che provenivano dalla spiaggia. A ripensarci, è come rinunciare al proprio letto e sdraiarsi a dormire sul pavimento. Ma funzionava così. In due anni che ci ho vissuto, a mare avrò fatto sì e no una decina di bagni. Me ne fregavo, ecco tutto. Era una casa costruita nel 1951. L’ultima epoca in cui gli italiani hanno saputo produrre un’architettura abitativa media che risultasse esteticamente decorosa. Era una casa grande, dove abitavo in affitto, molto luminosa, ben riscaldata d’inverno e sempre fresca d’estate, benedetta dal soffio della brezza marina. Alla luce della ragione potrei semmai questionare sugli infissi, rosicchiati dalla salsedine. Ma adesso tutti gli inconvenienti di quella casa sono sfumati nella memoria. Proprio come succede per i difetti della persona che hai amato e che hai perduto forse anche per colpa tua. C’è un grumo di dolore al petto, dalle parti del cuore, dietro la perdita di quella casa. Un dolore privato, che qui non importa raccontare. Ma adesso posso dire con certezza che la fitta più cocente riguarda proprio il mare di fronte; anche se quando l’avevo a disposizione lo schifavo un po’, con l’indecente generosità dei ricchi che lasciano mance troppo alte al ristorante. Il mare c’era. Io sapevo che c’era, e anche lui sapeva che io c’ero. Lo guardavo, mi guardava. Tanto bastava a respirare meglio. Ecco, ora che ci rifletto: non era una questione cardiaca, ma di respiro. Non era la casa del mio cuore. Era la casa dei miei polmoni. E adesso che l’ho perduta certe volte mi pare quasi di non riuscire più a respirare. (da "Graziacasa", fine) (L'illustrazione è di Loredana Salzano)

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Roberto Alajmo | 08/07/2008

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