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il forum di Roberto Alajmo, scrittore





DIARIO DELLO STREGA

15 MAGGIO, PALERMO, OTTAVI La prima cosa che devo ricordarmi sempre, in ogni momento dei prossimi due mesi è: vincerà la Mazzucco. Vincerà - La - Mazzucco. Melania G. Mazzucco si presenta per la terza volta al Premio Strega e dicono che se non vince quest'anno è autorizzata ad andare a casa Bellonci e spaccare tutto con una mazza da golf. Per lei voterà la maggioranza dei quattrocento Amici della Domenica. Oltretutto, di questi quattrocento quanti ne conosco io? Sì e no una decina. E allora? Allora non ti preoccupare, mi dicono tutti alla presentazione palermitana del Premio. Mi prendono sottobraccio e mi fanno fare delle passeggiatine di dieci metri per dirmi: tu nella cinquina ci sei di sicuro. Ho capito che le passeggiatine sottobraccio sono fondamentali, al premio Strega. Durante le passeggiatine parli con le persone che ti hanno appena presentato, che potrebbero essere Amici della Domenica, ma anche no. Perché in effetti chi sono tutti questi Amici della Domenica non si sa bene. Per cui rischi di farti una chiacchierata dando sfoggio di competenza letteraria con uno e poi scoprire che hai messo in campo tutto il tuo charme per nulla: era l'autista della Rimoaldi. La Rimoaldi è il motore immobile del premio, e almeno lei mi vuole bene. Almeno credo. Spero. Mi fa sedere accanto a lei, mi chiede di Palermo. Io le rispondo cercando di apparire affabile e misurato. I suoi collaboratori mi danno delle gran pacche sulle spalle e pure loro mi dicono di non preoccuparmi, ma io mi preoccupo moltissimo, invece. Anche perché tutti quelli che mi prendono sottobraccio e mi portano a fare la passeggiatina prima mi dicono che il mio libro è bellissimo, ma poi si addentrano in una serie di valutazioni di politica editoriale di cui io non capisco niente, se non che - invece, purtroppo, eccezionalmente - alla fin fine non mi voteranno. Tutti però sono gentili. La Mazzucco è pure lei gentile, considerato che il ruolo di superfavorita non agevolerebbe la simpatia. Se fossi nei suoi panni non farei altro che scongiuri, e invece lei è così rilassata, morbida, disponibile con tutti. Secondo me non ha nemmeno bisogno di farsi le passeggiatine: vincerà per il puro e semplice fatto che dio è dalla sua parte. Faccio amicizia con alcuni altri candidati. Matteucci lavora pure lui alla Rai, è vicedirettore di Rai Uno. Mi dice: chi sa chi di noi due voterà l'Annunziata? Apprendo così che il presidente della Rai è un'Amica della Domenica. Mi sento di rassicurare il povero Matteucci: l'Annunziata nemmeno sa che io esisto. La serata si conclude con un lento avviarsi all'uscita, io mi sforzo di asciugarmi il palmo delle mani prima di stringere quelle altrui per salutare e dare appuntamento alla prossima occasione. Chiudo senza aver fatto nemmeno una gaffe. Non che io sappia. 5 GIUGNO, BENEVENTO, QUARTI È finita. Finita. Forse potrei ritirarmi ora e fare un gesto clamoroso, di quelli che restano nella storia della società letteraria. Potrei denunciare la falsità dei premi e le magagne che ci stanno dietro. Almeno otterrei qualcosa, farei parlare del libro. Tanto è finita. La sentenza è stata pronunciata dalla Rimoaldi, che appena m'ha visto ha detto: non ti appoggio più. E' successo che sono arrivato in ritardo alla presentazione degli scrittori agli studenti di Benevento. E' una tappa intermedia del Premio, una tradizione che va onorata a tutti costi. E io mi sono presentato con due ore di ritardo. Ho un sacco di scuse, ma quando finalmente sono arrivato e le ho quasi fatto il baciamano, la Rimoaldi mi ha gelato: non ti appoggio più. Sono bastate queste quattro paroline per fare di me uno scrittore finito e un uomo in profonda crisi depressiva. La depressione mi piglia anche perché dopo aver resistito per un po', ho dovuto cedere. Ho fatto le telefonate. Non molte, ma abbastanza. Non so come sia successo. All'inizio ne ho fatto una, ho trovato la segreteria telefonica, e mi sono preso di coraggio. Si comincia sempre così, ma prima o poi le persone si trovano, e bisogna parlarci. Non pensavo di esserne capace, ma invece sì: c'è un mostro di sfacciataggine che si nasconde in me. Bilancio finale delle telefonate: una è amica della moglie di Matteucci, e sette sono già impegnati perché sono amici miei, ma pure di un altro candidato e siccome l'altro gliel'ha chiesto prima, loro ormai gliel'hanno promesso, tuttavia il loro candidato non ha speranze di arrivare fra i cinque finalisti, e alla conta finale il voto me lo danno di sicuro. Tutto chiaro? Tanto - aggiungono - io non ho problemi a entrare in cinquina. Metto giù la cornetta e mi ritrovo in preda alla Sindrome di Jospin, quasi sicuro di restare fuori dal ballottaggio finale. Insomma, Benevento. Dopo la scomunica della Rimoaldi per tutto il giorno resto in balia di tristi premonizioni. E' mestamente che al teatro comunale rispondo alle domande di Marzullo, ma dopo, alla cena sociale, nella dinamica dei posti a sedere riesco a piazzarmi in pole position, vale a dire in un tavolo da sei con diverse personalità, fra cui la Rimoaldi in persona. Mi abbandono al cibo, mangio per dimenticare. E forse proprio perché ormai totalmente privo di ambizioni, riesco a essere a tratti persino spiritoso. Dev'essere questo il segreto, perché alla fine della serata la Rimoaldi mi fa un discorso da cui si capisce che mi ha perdonato: a certe condizioni io potrei essere il vero avversario della Mazzucco. Sentendo queste parole rinasco alla speranza e trovo subito per me confacente il nuovo ruolo: l'antagonista. Quello che almeno a tratti può oscurare la stella della giovane eroina, magari anche in forza della sua antipatia, come Arnoldo Foà nella Freccia Nera. Praticamente, lo stronzo della situazione. 19 GIUGNO, ROMA, SEMIFINALE Per dare un'idea: stamattina ho guardato l'oroscopo della tv. Alla voce Lavoro, due miseri pallini. Per dare un'idea ancora più precisa: mi sono messo a cercare fra i canali altri oroscopi televisivi. Ma solo per poter contare almeno su un campione significativo. Insomma, è una giornata un po' così. Ma è anche la giornata decisiva: o eroe o verme. Sono venuto con anticipo a Roma immaginando di dover fare qualcosa di determinante per riuscire a entrare nella famosa cinquina, e invece la mia giornata è praticamente vuota. Quelli di Mondadori mi tengono fuori dalle riunioni perché dicono che mi avvilirei. Io sento di doverli ringraziare per quello che stanno facendo per me: calcoli, ipotesi, flussi di voti in entrata e in uscita. Ma mi sento solo e inutile. Mi sento, precisamente, come una mucca alla fiera della mucca da latte. In questa solitudine bovina trascorre l'intera giornata, fin quando vengono a prendermi per andare a casa Bellonci, dove si svolge lo spoglio dei voti. A Casa Bellonci c'è già un sacco di gente che straripa dalle stanze alle terrazze. Cocktail. Tartine. Chiacchiere. Piccole maldicenze. C'è pure Bevilacqua. E' il famoso mondo romano delle lettere. E io sono in mezzo a loro. Probabilmente qualcuno dei presenti ha votato per me oppure no, non posso saperlo. Per sicurezza sorrido a tutti, e tutti mi sorridono nella convinzione che se sorrido io abbiano motivo di farlo anche loro, chiunque io sia, e chiunque siano loro. Fra molti sorrisi scambio complimenti e in bocca al lupo con gli altri candidati che si confermano simpatici e disinvolti. Chissà se sono nervosi come me, chissà se provano la mia stessa pena di essere mucca da esposizione. Chissà cosa diceva il loro oroscopo televisivo. Comincia lo spoglio, mi metto a seguire l'andamento spiando su un taccuino altrui. Mi dicono che la Mazzucco nello stesso momento è in terrazza, che fa conversazione con quelli del suo cenacolo di intellettuali e funzionari editoriali. Beata lei. Io sono qua che sudo e conto i voti uno per uno. A metà spoglio la Mazzucco è modestamente in testa, con un distacco consono alla sua classe, cioè non troppo umiliante per gli avversari. Col passare dei minuti si delinea un testa a testa mortale per il quinto posto, fra la Petrignani e Pascale. Alla fine resta fuori Antonio, che per fortuna la prende bene, sorride e dice che è un gioco. Beato anche lui: se mi avessero eliminato, io avrei tenuto una conferenza stampa di commiato direttamente dal cornicione di casa Bellonci. Questo, sia detto incidentalmente, significa che ce l'ho fatta. Sono finalista al Premio Strega. Nell'alternativa fra eroe o verme, oggi ho scelto di essere eroe, sebbene scegliere non sia la parola più appropriata. E tuttavia, per essere una mucca, mi sento abbastanza felice, stasera. 3 LUGLIO, ROMA, FINALE Una risorsa c'abbiamo noi siciliani: il fatalismo. E a quello conviene aggrapparsi, con le unghie e con i denti. Ripeto ossessivamente il mio mantra: Vincerà - La - Mazzucco. Comunque sia, devo tener sempre presente che per me è già un successo essere qui, al mitologico ninfeo di Villa Giulia. Mi sento orgoglioso e preoccupato di essere qui. Mi sento, per l'esattezza, come Peter Sellers in "Hollywood Party". Mi aggiro fra i tavoli e stringo mani sconosciute, ma temo di rovesciare bicchieri nella scollatura delle signore e creare altri disastri mondani del genere. Inoltre temo che da un momento all'altro possa avvicinarsi un addetto alla sicurezza e comunicarmi che sono stato invitato per sbaglio e quindi, per favore: si accomodi fuori. Come se non bastasse il disagio oggettivo della situazione, temo di aver fatto un errore a portarmi dietro Arturo, che ci teneva a vedere suo padre perdere in diretta televisiva. Arturo ha sette anni, e mi rendo conto di averlo inconsciamente portato per impietosire i giurati più sensibili. Uno scrittore meridionale che tiene famiglia, con un bambino di sette anni potrebbe essere l'arma segreta per convincere gli ultimi incerti e raccogliere consensi sul piano umano, se non su quello letterario. Mi fanno sedere in un tavolo in prima fila in mezzo ai vertici di Mondadori. Gli emissari di Bruno Vespa sono categorici: si sieda qui e non si muova per nessun motivo. Mi guardo sullo schermo cercando di mettere insieme una faccia intelligente, resistendo alla puerile tentazione di salutare gli amici a casa. A un certo punto appare persino Valeria Marini, che va a sedersi nel salottino bianco in rappresentanza, mi pare di capire, di quelli che non leggono libri. Comincia lo spoglio. Fra i primi venti il mio nome non compare praticamente mai. Praticamente mai. Sento tutto il mio fatalismo siciliano squagliarsi miseramente. Alle mie spalle Arturo cerca di farmi coraggio. Ogni volta che viene estratto un nome diverso dal mio, fa una piccola pernacchia. Non dimostra molto fair play, ma funziona: comincia una rimonta, e alla fine la classifica è Mazzucco 162, Alajmo 76, Matteucci 54, Petrignani 43, Spirito 19. Insomma, alla fin fine ho fatto la mia porca figura, arrivando primo nella categoria Comuni Mortali. Non è male, e soprattutto, come ben sappiamo noi tifosi dell'Inter: andrà meglio l'anno prossimo.

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Roberto Alajmo | 20/12/2005

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