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SPALARE L'ACQUA COL FORCONE

(Oggi sull'Unità)
La ripresa delle lezioni è quasi arrivata anche allo Zen, il quartiere di Palermo dove la scuola Falcone è stata oggetto di due raid vandalici consecutivi. Dopo che il primo non aveva suscitato reazioni, sono tornati e hanno completato l’opera.
Da allora sono trascorsi tre mesi, durante i quali la scuola è stata ripulita da un gruppo di volontari provenienti da Bergamo e da alcuni cittadini di Palermo. Qualche esponente dell’opposizione ha fatto sentire la sua presenza. Per il resto: silenzio. In tre mesi il Comune, da cui dipende l’istituto, non ha ritenuto di dover muovere un dito, né per riparare, né per presidiare.
Un buon esercizio, per noi che pensiamo di stare dalla parte della civiltà, sarebbe entrare nella mentalità di chi invece ha voluto portare la devastazione. Bisognerebbe chiedersi come vengono interpretati questi segnali. Chi sono queste persone che vengono a riparare ciò che noi rompiamo? Da dove vengono, visto che non sono del quartiere? Come si permettono?
Allo Zen l’unico segnale di esistenza di un’entità amministrativa era il compattatore dei rifiuti: e anche quello si vede sempre meno. Di sicuro niente divise nel raggio di molti chilometri. E non è questo un chiaro invito a tornare ogni notte portando la benzina?
In siciliano si definisce “muro vascio”, muro basso, la persona, l’animale o l’oggetto con cui è possibile prendersela impunemente. Su cui anche l’ultimo dei poveracci può sfogare la sua rabbia. Ecco: la scuola Falcone è il muro vascio dello Zen, che è il muro vascio della città di Palermo.
In assenza di segnali da parte dello Stato ogni intervento privatistico di solidarietà rischia di essere vissuto come una forma di colonizzazione, e in definitiva un incentivo a nuova violenza.
Questo passa nella testa dei teppisti dello Zen e dei loro mandanti. Capirlo è il primo passo.

(Fotografia di Teresa De Masi)

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Roberto Alajmo | 15/09/2009

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