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LABORATORIO ZEN

Dovrebbero venire futurologi da tutto il mondo, per studiare quel che in questi giorni capita allo Zen di Palermo.
Più che mai in questi giorni in cui lo Stato ha deciso forse per la prima volta di esserci e metterci la faccia. Decisione meritoria ma che rischia di risultare controproducente, se non viene spinta fino all’estrema conseguenza: ossia il ripristino definitivo della legalità in un territorio che è stato finora zona franca. Se lo Stato fallirà questa volta, se le forze dell’ordine si ritireranno senza risolvere il problema, e senza che la situazione si sia stabilizzata, per almeno altri dieci anni gli abitanti dello Zen potranno star certi del loro status di extraterritorialità, rispetto al resto del Paese. Sfasciare scuole, impadronirsi degli appartamenti altrui: ogni cosa sarà consentita, allo Zen. Anzi, incentivata.
Questo è il motivo per cui bisognerebbe puntare molti binocoli in direzione della periferia nord di Palermo. Due sono le domande ideali che seppure inconsciamente si pongono gli abitanti dello Zen. Esiste (ancora) lo Stato? E in che cosa consiste, esattamente, questo famoso Stato di cui tanto abbiamo sentito parlare? Se non si riuscirà a dare una risposta compiuta a queste domande, allora sarebbe stato meglio nemmeno mandarcela, la polizia allo Zen, e continuare a utilizzarla per dare la caccia ai lavavetri con l’elicottero.
Ma la vicenda degli sgomberi nel quartiere forse più famigerato della famigerata città di Palermo è un microcosmo che merita di essere studiato anche per un altro ordine di motivi. È lì che in questi giorni si è andata a condensare una contrapposizione a suo modo esemplare: poveri contro molto poveri contro poverissimi.
Pier Paolo Pasolini fece scandalo, a suo tempo, schierandosi con quelli che per lui erano i veri proletari, gli agenti della Celere che si battevano contro i figli della borghesia, accusati di giocare a fare la rivoluzione. Di questi tempi e in quest’Isola, i figli della borghesia si tengono alla larga da questo genere di scontri.
I poveri poliziotti sono chiamati ad arginare una guerra fra diseredati che si scontrano fra loro per l’occupazione di una casa popolare. Abusivi e assegnatari sono separati da una sottilissima linea di reddito e carico familiare. Minima è la differenza fra le due categorie, e attiene soprattutto a un’idea: la rachitica idea di legalità che si coltiva in Sicilia. Gli assegnatari, magari solo per caso, si sono trovati da una parte. Gli abusivi, dall’altra.
Così sono a quanto pare le rivolte del ventunesimo secolo, dalle banlieue parigine, ai ghetti di Johannesburg, allo Zen di Palermo: poveri contro molto poveri contro poverissimi. Il campo di rivolta è demarcato con chiarezza: non i quartieri residenziali, né il centro, salvo sporadici assedi al Municipio. Si bruciano le macchine dei vicini, si forzano le porte dei compagni di sventura, si derubano i propri fratelli.
Sarà quando qualcuno alzerà la testa e aprirà gli occhi che scoppierà una rivoluzione vera e propria. Quando. E se.

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Roberto Alajmo | 01/05/2010

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