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IL DISEGNO DIETRO I PESTAGGI ISTITUZIONALI

(Un estratto dell'articolo di oggi su Repubblica)

C’è stato un tempo, su quest’Isola, in cui per la prima volta nella storia le forze dell’ordine non furono considerate “sbirri”. Storicamente sì, sempre: tutti i rappresentati armati dello Stato, di qualsiasi Stato, sono stati sopraffattori e, appunto, sbirri. Poi venne l’estate del ’92, e il tributo di sangue pagato dalla Polizia contribuì a rivoltare quell’immagine, specialmente agli occhi dei più giovani. Quando arrestarono Riina, per un paio di giorni i cittadini di Palermo si congratularono coi carabinieri che incontravano per strada. Poi si scoprì che anche quell’arresto aveva dei risvolti non del tutto limpidi, e la disillusione è stata inevitabile.
Adesso, diciassette anni dopo, la situazione è di nuovo radicalmente tornata al punto di partenza. I poliziotti sono tornati a essere sbirri; e tanto più adesso, dopo tre episodi in rapida successione, due alla vigilia della visita del Papa e uno davanti a un liceo cittadino, con alcuni arresti che non hanno retto al vaglio della magistratura. L’accusa era di manifestazione non autorizzata e poi un classico: resistenza a pubblico ufficiale, reato che da sempre si configura anche solo quando qualcuno si copre il viso per parare le manganellate.
La vittima di questi episodi non è solo qualche studente arrestato con troppa faciloneria, o il dissenso anticlericale messo a tacere. Nel ruolo della vittima c’è anche il diritto al ragionamento e alla complessità. Perché se magari era eccessivamente buonista la visione post-’92, prendersela con la polizia sostenendo che è composta solo da picchiatori vuol dire fare di tutte le erbe un fascio (pardon). La facoltà di distinguere e ragionare sulle cose è messa seriamente a repentaglio quando il clima si surriscalda. E forse questo è il gioco che sta giocando qualcuno, a spese ancora una volta non tanto dei singoli oppositori, quanto dell’opinione pubblica nel suo complesso.
Siccome gli stessi poliziotti insegnano che due indizi sono due indizi, ma tre indizi costituiscono una prova, il susseguirsi dei tre episodi nel giro di pochi giorni rappresenta qualcosa di più di una semplice coincidenza. Viene il sospetto che a Palermo si stia collaudando una nuova strategia. Forse qualcuno sta cercando di misurare la soglia di reazione delle persone qualsiasi. Non tanto degli studenti, non tanto degli oppositori, non tanto i singoli individui presi di mira. Il target è proprio la cittadinanza nella sua interezza, di cui viene testata la capacità di indignazione. Esiste un’ideale asticella di reazione oltre la quale l’opinione pubblica è chiamata a saltare. Episodi del genere sembrano fatti apposta per misurare l’altezza dell’asticella, individuarla e innalzarla impercettibilmente: ogni volta un po’ più in alto, per scoprire fino a quando la gente sarà in grado di indignarsi e saltare.
Per questo il riflesso condizionato dell’opinione pubblica dev’essere sempre quello della denuncia più veemente e della massima solidarietà a chi rimane vittima di un sopruso istituzionale. Senza lasciarsi mai narcotizzare dalla reiterazione degli episodi. La gara in questo consiste: scoprire se si stancano prima quelli che randellano o quelli capaci di scandalizzarsene.
La Polizia è un organismo complesso, frutto dell’addizione di diverse componenti più o meno democratiche. Ci sono i cacciatori di latitanti, che si meritano gli applausi quando a rischio della vita riescono a ottenere i successi conseguiti dalla repressione antimafia. Immaginare che i poliziotti siano tutti sbirri è anche un regalo a Cosa Nostra, e non è escluso che questo regalo sia nel conto di chi si diverte a pescare nel torbido: i deviati, gli eredi ideali di quei mestatori che inquinarono il patrimonio morale lasciato dalle stragi del ’92, oggi completamente perduto.

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Roberto Alajmo | 13/10/2010

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