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Lo spettacolo è finito

Quando sento parlare del Teatro Biondo nei termini di “teatro della città”, ammetto senza riserve di provare un senso di disgusto misto ad orticaria e colite. Ma quando mai il Teatro Biondo è stato il teatro di questa città? Se è vero che la storia dell’arte è la storia degli artisti, il Biondo è stata la tomba dell’arte come degli artisti di Palermo. E’ stato il luogo dove si sono spente tutte le speranze e i sogni di tanti bravi, le cui professionalità sono state volutamente ignorate ed umiliate dal Direttore artistico, costantemente preoccupato dalla possibilità che qualcuno dei palermitani potesse emergere. Gli “spardati”, gli “scarsi”. Così sono da sempre definite le maestranze di questa povera città. Ero giovanissima quando ebbi l’opportunità di partecipare e due produzioni: “Buela” di Franco Scaldati e “Bambulè” di Salvo Licata. Pochi mesi di scrittura al minimo sindacale. In oltre venti anni, da allora, nonostante fosse stato fatto diverse volte il mio nome, non sono mai stata più chiamata per altre collaborazioni e solo in un’occasione ho cercato di incontrare il Direttore Artistico. Mi fu dato un appuntamento, io andai, mi fu chiesto di aspettare, passarono molte ore (circa tre), poi mi fu chiesto di tornare in un altro giorno, perché il Maestro era impegnato. Per la seconda volta, tutto si svolse alla stessa maniera, con una interminabile attesa e un nulla di fatto. Capii che non c’erano presupposti per un qualunque tipo di dialogo, a meno che non mi facessi raccomandare da qualche politico in auge e non fui più disposta ad accettare di essere offesa nella mia dignità di essere umano. Non sono certamente scontenta della mia carriera artistica che si è svolta brillantemente, anche senza il Teatro Biondo, anzi direi grazie a questo. Sono una cantante apprezzata e ho portato la mia arte in tutto il mondo, ma per me, il teatro biondo, se non cambia stile di gestione, può anche chiudere, per tutte le volte che ha chiuso le porte in faccia agli artisti di Palermo. E’ chiuso da quando la politica ha determinato che questa istituzione non sarebbe servita alla crescita della città, ma all’affermazione dell’arrogante potere da sempre nelle mani di uno solo. Giocattolo per alimentare il suo delirio di onnipotenza. Mi dispiace per gli amici e colleghi che vedono in bilico le loro certezze lavorative, ma almeno loro avranno la pensione….è un grande privilegio, oggi come oggi. Che occasione mancata, per questa città! Mi viene in mente un episodio. Lo racconto con raccapriccio, superando anche un comprensibile pudore. Avevo vent’anni. Mi trovavo in teatro con i miei colleghi, alcuni dei quali speravano di vedermi far parte della compagnia stabile, quando Carriglio si avvicinò invitando tutti al bar. Mentre ci si incamminava verso l’uscita, si voltò e mi disse: “a lei, signorina, non l’ho invitata, anzi, è inutile che ci viene a trovare, perché lavoro per lei non ce n’è in questo teatro”. Qualcuno tra i denti commentò: “le solite Carrigliate”. Avevo le lacrime agli occhi ed ero troppo giovane per rispondere a tono. Per molti anni, passando dalla Via Roma, ho preferito percorrere il marciapiede opposto all’ingresso del teatro. Sono rientrata nella sala grande solo ultimamente, per dare un ultimo saluto all’amico Pippo Spicuzza, per il quale era stata allestita la camera ardente. Il teatro biondo? Chiudesse al più presto, se non vuole lavorare per il bene della città! La sofferente dignità degli artisti, non può essere ancor di più umiliata dalla salvezza delle strutture che non sono amiche di questa terra. Chi pensa che parlo così perché ho il dente avvelenato, ha ragione. Ma la cosa singolare è che persino i dipendenti del Biondo hanno il dente avvelenato, e molto più di me, e in cuor loro odiano chi servono con devozione. A loro vorrei ricordare, se fosse necessario, ma non credo, con quanta speranza sono saliti su quel carrozzone che si chiama Teatro Stabile, e con quanti sogni! Attori, registi, autori, scenografi…una vita sprecata ad inseguire occasioni perdute… E’ grazie al loro impegno e alla loro abnegazione che il teatro è diventato stabile. Sicuramente ricordano le misere paghe e le repliche con un pubblico di tre persone, finalizzate esclusivamente ad accumulare borderaux. Adesso è arrivato il momento che anche loro prendano posizione, e non solo per salvare lo stipendio. Il giorno che mi innamorerò ancora una volta del sogno del teatro palermitano, sarà per costruire dalle ceneri, ma forse i tempi non sono ancora maturi. Apprezzo moltissimo le parole di Maria Pecoraro. E’ assolutamente certo che non può esistere alcun risanamento senza la determinazione di tutti quanti di costruire qualcosa per il bene della collettività, mettendo da parte i propri piccoli, a volte piccolissimi interessi.

Laura Mollica

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Daniela Vaccaro | 23/01/2011

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