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LE INTERVISTE IMPOSSIBILI: GIUSEPPE GARIBALDI

(Da Balarm)

- Come devo chiamarla? Generale?
- E come, altrimenti? Questo sono arrivato a essere da vivo.
- Può dirmi dove si trova in questo momento, Generale?
- Non posso. Ci consentono di venire alle sedute spiritiche solo a patto di mantenere la riservatezza sui dettagli logistici. Posso solo dirle che la differenza con Caprera si sente: qui non c’è modo di rimanersene in pace manco per un momento.
- Allora, Generale: le sono fischiate le orecchie in questi mesi?
- Non hanno fatto altro, praticamente.
- Non si è mai parlato tanto di lei…
- Tanto, e tanto male.
- Non c’era abituato?
- Mah… Mi sforzo di vedere le cose da una prospettiva storica, che metta in fila centocinquant’anni uno dopo l’altro. Fino a un certo punto, sembrava che tutti fossero d’accordo. In positivo, intendo. Non c’era malanima in Italia disposta a parlare male di Garibaldi. Ero un investimento sicuro per gli studenti alle prese coi temi sul Risorgimento. Con Garibaldi non si sbagliava mai. Un bravo figlio era persino quel Craxi, che faceva collezione di cimeli e veniva sempre in pellegrinaggio a Caprera…
- E poi, cosa è successo?
- Questo dovreste saperlo più voi di me. Io mi sono distratto un attimo (qui dove sono, dieci anni vanno via in un attimo) ed è cambiato tutto. Forse hanno cominciato quelli della Lega Nord, quando hanno capito che più in alto sparavano più grossi erano i titoli sul giornale dell’indomani.
- Qualcosa lei deve aver fatto per aver suscitato tutte queste polemiche…
- Da morto? E che posso aver fatto, nel frattempo, per provocare tutto questo voltar gabbana?
- Forse gli storici hanno scoperto qualche magagna…
- Che magagna e magagna! La verità è che mi hanno preso per il muro vascio.
- Il muro che?
- Il muro basso. È un modo di dire che adoperano i siciliani. Il muro vascio, la boffa allo scecco… Se la prendono con una persona che non può difendersi.
- Qualcuno dice pure che lei avrebbe fatto meglio a lasciar perdere: che stavamo meglio quando stavamo peggio. Visto che lei la mette sul piano delle espessioni dialettali, sa cosa dicono? Megghio ‘u tintu conosciuto che ‘u bonu a conoscere.
- Preferivano Franceschiello? Liberissimi. Col senno di poi non mi sorprende.
- Ammette, allora?
- Ammetto di essere stato ferito ad una gamba. Ha presente la canzone? In Aspromonte. Due anni dopo l’Impresa dei Mille. Da un bersagliere piemontese.
- Si spieghi meglio.
- Borboni e Savoia sono due aspetti dello stesso problema. Ultima citazione dialettale: ‘u pane duru e u cuteddu c’’un tagghia.
- Sì, ma lei ha combattuto i primi e avallato la causa dei secondi.
- La fucilata di quel bersagliere è la prova che io sono stato il primo ad accorgermi che l’Impresa era stata tradita. C’era qualcuno che faceva il furbo.
- I nomi.
- I Savoia, innanzi tutto. Mai sottovalutare la potenza devastante dei cretini. Poi quel manipolatore di Cavour. E mettiamoci pure, con gli anni, anche Crispi e quelli come lui. Molti di quelli che da giovani fanno i rivoluzionari, appena compiono quarant’anni si trasformano in conservatori della peggior specie.
- Insomma, se tornasse indietro, rifarebbe tutto.
- Quasi tutto.
- Cosa non rifarebbe? Bronte?
- Bronte fu un errore, certo. Adesso è facile capire che avrei dovuto frenare Bixio, ma… Non volevamo inimicarci gli inglesi proprio nel feudo di Nelson. Però, se dovessi rinascere, soprattutto una cosa non farei.
- Cosa?
- Teano. Lascerei Vittorio Emanuele ad aspettare in posa, con la mano tesa, in attesa della tanto famosa stretta. E tirerei diritto. A scoprire tutte le avventure che mi son perso. E che, se permettete, vi siete persi anche voi.

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Roberto Alajmo | 08/09/2011

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