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COPERTINA MATTO AFFOGATO


C'ERA UNA VOLTA UNA CHIAVE

(da Repubblica)
Non è difficile riconoscere nel collassamento dello Spasimo di Palermo il segnale di un cerchio che si chiude. Era stato l’emblema della rinascita, è diventato il simbolo ennesimo di una città stremata. Sabotata da un’amministrazione comunale che sarà ricordata a lungo per la sua capacità, una volta toccato il fondo, di cominciare a scavare.
Anche la modalità dei crolli dello Spasimo ha qualcosa di simbolico. È precipitata al suolo, fra l’altro, una chiave di volta, il tassello che chiudeva l’apice di una delle crociere della navata laterale. Con la sua forma a cuneo, la chiave di volta garantisce la tenuta dei diversi archi, che su di essa scaricano il peso della volta stessa sui pilastri laterali. Il suo aspetto decorativo non deve trarre in inganno: senza di essa, in teoria, precipita tutto.
Allo Spasimo la chiave di volta è venuta giù secca, senza trascinarsi dietro ancora nient’altro. Perfetta metafora di questa città, che malgrado sia ormai deprivata persino dei diritti fondamentali, ancora si regge miracolosamente in piedi, sfidando ogni legge della fisica statica.
(...)
Nell’ultimo decennio si è proceduto al sistematico abbattimento di tutti i simboli dell’odiata amministrazione Orlando. Il primo a cadere è stato il Festival del Novecento: chiuso. Teatro Garibaldi: chiuso. Cantieri Culturali alla Zisa: virtualmente chiusi. Ultimo della serie, lo Spasimo: chiuso pure quello. Nel mazzo si può mettere anche il teatro Stabile, che versa in stato di coma vigile. Pietro Carriglio, il direttore, è persona troppo intelligente per non rendersi finalmente conto di aver fatto da garante culturale a un branco politico di incompetenti, come minimo. Nel silenzio di questi mesi si legge il suo sconforto: che è anche nostro, a maggior ragione.
Il capolavoro iconoclasta della politica e della burocrazia negli ultimi anni è consistito nel riuscire a saldare l’inettitudine alla malafede. È bastato non fare niente per ottenere il bel risultato di smantellare ogni barricata culturale, fino a non lasciare pietra su pietra.
O quasi. Dei fiori all’occhiello dell’amministrazione progressista rimane in attività solo il Teatro Massimo, la cui riapertura rappresentò per Palermo uno dei momenti di maggiore esaltazione. Allo stato attuale, considerato il panorama circostante, meraviglia il fatto che sia ancora in attività. A questo punto i dirigenti del teatro lirico cittadino sono autorizzati a fare gli scongiuri, perché il ragionamento che ne consegue è di quelli che non lasciano scampo.
Quando Sciascia spese per la Sicilia quel famoso aggettivo, “irredimibile”, procurò un danno involontario ma gravissimo. Nella vulgata giornalistica rimase quel macigno a pesare su ogni speranza di riscatto. In realtà, andando a rivedere il contesto originale si getta una luce diversa sulle intenzioni di quell’aggettivo. Irredimibile, disse Sciascia. Tuttavia continuò: ma bisogna agire e pensare come se non lo fosse. Cioè: continuare a sperare quia absurdum. Ecco il divario fra pessimismo della ragione e ottimismo del cuore. I palermitani in questi mesi sono chiamati a credere malgrado tutto in un soprassalto di dignità cittadina. La notte è buia e sembra interminabile, ma prima o poi dovrà finire. Quando mancano pochi mesi alle prossime elezioni amministrative si chiede agli abitanti meglio intenzionati di Palermo uno sforzo paragonabile a quello degli inglesi, che nel cuore più profondo della notte nazista decisero di resistere oltre ogni riflesso razionale allo strapotere di Hitler. Un’ostinazione che sconfinava nella demenza. Eppure vinsero, alla fine.
Bisogna quindi sforzarsi di vedere il lato positivo di ogni disastro, anche a costo di arrampicarsi sugli specchi. Chiude lo Spasimo? Consideriamolo un contributo di chiarezza. Un passo avanti verso quel baratro che oramai tutti considerano inevitabile. Meglio una morte rapida, a questo punto. Per questo, paradossalmente, sarebbe meglio che Palermo perdesse anche il teatro Massimo. Dopo – forse, finalmente – potrebbe cominciare il dopoguerra.
(La foto è di Valeria Ferrante)

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Roberto Alajmo | 19/10/2011

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