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IL CANDIDATO PICCIOLI

(Da Repubblica)
Forse esiste un sistema per risolvere una volta per tutte il deficit di democrazia provocato dal voto di scambio. Ammettiamolo pure: il suffragio universale, conquista irrinunciabile, presenta alcuni inconvenienti. L’effetto collaterale più disastroso è rappresentato dalle migliaia di persone disponibili a vendere il proprio voto in cambio di un sacchetto di spesa, una ricarica telefonica o una semplice promessa di lavoro. Il problema è che, quando si va alla conta, il voto di Umberto Eco e quello di un elettore demotivato finiscono per equivalersi. Si può impedire a cinici e ignoranti di esercitare il diritto al voto? No di certo, a meno di non voler sembrare reazionari. Però non ci piove: se l’Italia e la Sicilia sono ridotti come sono ridotti è perché il voto di scambio ha creato una classe dirigente e un ceto piccolo borghese ugualmente parassitari che si rispecchiano a vicenda moltiplicandosi all’infinito.
Per scardinare questo circolo vizioso si deve vigilare sul piano repressivo, ma esiste un altro sistema premiale che potrebbe proficuamente essere messo in pratica fin dalle prossime amministrative di Palermo che già si preannunciano travagliate.
S’è capito che non solo il voto di scambio è vincente, ma risulta anche contagioso. La spregiudicatezza si è estesa dal Centrodestra al Centrosinistra, come s’è visto alle recenti Primarie, col risultato di avallare il luogo comune secondo cui “tanto sono tutti uguali”. Proprio come i voti quando vengono pesati, guarda un po’. Sarebbe lungo qui spiegare che né gli schieramenti né gli elettori sono tutti uguali, anche se certe volte verrebbe comodo pensare di sì.
In realtà esiste un modo semplice per disinnescare chi è disposto a vendere il proprio voto: pagarlo di più. Dare alla luce del sole quel che abitualmente viene distribuito sottobanco. Lo Stato deve mettersi in concorrenza con i corruttori e batterli in regime di libero mercato.
In sostanza, l’idea è questa: predisporre una scheda elettorale nella quale, accanto ai nomi dei candidati (Aricò, Costa, Ferrandelli, eccetera) compaia pure una casella con accanto scritta la parola “Piccioli”. La parola “Piccioli” la capiscono tutti, anche gli analfabeti. In sostanza, l’elettore può decidere di annullare il proprio voto e ricevere, in cambio della propria rinuncia, una piccola somma di denaro cash. È una libera scelta: se nessuno dei candidati ti soddisfa, scegli di astenerti, ma almeno non fare danno.
Dopo aver optato per la variante “piccioli” l’elettore demotivato – immaginiamolo come una variante palermitana di Homer Simpson – si presenta al presidente di seggio, mostra la scheda annullata e riceve venti o trenta euro. La somma va definita, ma deve essere l’equivalente delle ricariche telefoniche o dei sacchetti di spesa che già circolano in queste settimane. Il bello è che non risulta nemmeno necessario rinunciare alla ricarica o alla spesa in omaggio: i benefit per l’elettore infedele sono cumulabili, perché allo Stato dovrebbe interessare soprattutto l’obiettivo di preservare dall’inquinamento il risultato elettorale. Né i costi sarebbero insostenibili, se si ponderano i disastri finanziari prodotti da una democrazia rappresentativa distorta. Già sul medio periodo, considerati i danni sociali prodotti dal voto di scambio, lo Stato ci guadagnerebbe. Funzionerebbe un po’ come il metadone distribuito gratuitamente ai tossicodipendenti: certo, per lo Stato è una spesa, ma se l’obiettivo è sconfiggere il racket della droga e i singoli spacciatori, è un investimento sacrosanto.
Si potrebbe persino immaginare una campagna istituzionale per combattere il voto di scambio. Slogan: “Vota Piccioli: meglio l’uovo oggi che la gallina domani”.
Scegliendo il candidato “piccioli”, ogni elettore è libero di trarre le conclusioni del proprio cinismo o disamore per la politica, traendone la massima soddisfazione e un discreto profitto. Allo stesso tempo, il risultato delle urne sarà depurato dalle scorie illegali e immorali. Conviene a tutti, tranne che a corruttori e ladri di democrazia. Pensiamoci.

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Roberto Alajmo | 08/04/2012

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