BISOGNAVA CHIAMARLO VITTORIO
Capita camminando. Basta che ci sia una porta a vetri mezza aperta, o un gioco di riflessi su una vetrina.
Improvvisamente ti ritrovi davanti una persona che conosci: te stesso. Non ci dovresti essere, per cui rimani frastornato. È questione di un istante, e in quellistante la prima impressione è di antipatia. Capisci chi sostiene che a prima vista sembri antipatico. Sembri antipatico persino a te stesso. E goffo.
Prima di realizzare che si tratta di un riflesso fai in tempo a provare pure un altro soprassalto, diverso e ancora più spiazzante. In quel mezzo istante pensi: che ci fa qui mio padre?
Perché a guardarti senza filtri, la somiglianza fa impressione. Identico ovale, identica camminata curva a piedi divaricati la stessa che tuo figlio, povero lui, sta ereditando.
Basta quellistante per archiviare una quarantina danni di dissenso integrale, durante i quali hai sempre pensato che più diversi non potevate essere.
Invece adesso scopri che invecchiando sei diventato uguale a lui, anche in quella degenerazione caratteriale che i siciliani chiamano grevianza.
Basti citare lultimo dissapore: per non aver trasmesso a tuo figlio il nome del nonno. Il nome della continuità fra le generazioni.
Oggi devi ammettere che forse approssimandosi il tuo, di commiato - hai cambiato idea: e aveva ragione lui.