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LE CENERI DI PIRANDELLO


ISTRUZIONI PER LA RESTITUZIONE DI UN TELEFONINO SMARRITO

Una volta mi è successo. Anzi, è successo a mia moglie, ma fa lo stesso: abbiamo trovato un cellulare e siamo andati a consegnarlo alla polizia. Lei lo ha trovato e io sono andato a consegnarlo. Trovarlo forse succede, ma consegnarlo? Diciamo la verità: non succede mai. Al ritrovamento – avvenuto sul tavolino di un bar – è seguita una breve indagine privata dalla quale è risultato che il proprietario era ignoto e irrintracciabile. Sull'annoso tema Che fare? c'è dunque stato un dibattito familiare, nel quale nessuno dei due ha pensato mai, neppure per un minuto, di tenerselo. No, no, no. Questo per dire che siamo due personcine davvero perbene. E dunque io mi sono incaricato di andarlo a consegnare al più vicino commissariato di polizia, dove c'erano due poliziotti, un poliziotto e una poliziotta. Dopo aver atteso pazientemente il mio turno, mi sono presentato davanti alla poliziotta che mi ha chiesto:— Cosa le hanno rubato? A questo punto ho tirato fuori il telefonino, l'ho messo sul tavolo e ho risposto non senza una punta d'orgoglio: — Niente. Semmai ho ritrovato questo. Ho ritrovato, prima persona singolare, non per assumermi il merito altrui, ma piuttosto perché se avessi detto che a ritrovarlo era stata mia moglie sarebbero sorte inutili complicazioni. Le complicazioni non mancano mai. La poliziotta mi guardò negli occhi, poi guardò il telefonino – nuovo, metallizzato – sul tavolo in mezzo a noi. Non lo toccò.— E cosa vuole fare? — Eh: consegnarvelo. A questo punto anche il poliziotto lì accanto smise di battere a macchina e scambiò uno sguardo con la collega. Lei non arrivò a domandarmi: — (È sicuro di quello che sta facendo?) Ma ce l'aveva sulla punta della lingua. Di sicuro lo stava pensando. Mi fece, piuttosto, una serie di domande: quando l'avevo trovato, e dove, a che ora, se c'erano altri testimoni presenti. Dal tono, e dal fatto che non prendesse appunti, ho capito allora che il mio comportamento risultava agli occhi della polizia estremamente sospetto. Quali potevano essere le motivazioni che mi spingevano a un gesto del genere? Evidentemente l'indagine si preannunciava complessa, perché ad affiancare la poliziotta venne anche il poliziotto, che forse poteva vantare maggiore esperienza negli interrogatori. Spostò la sedia e venne a mettersi pure lui di fronte a me. All'inizio io mi sentivo in colpa; come sempre si sentono in colpa i siciliani di fronte alle forze dell'ordine, ma anche perché io mentivo sapendo di mentire: non ero stato veramente io a trovare il telefonino. Ma era una bugia piccolissima, che non poteva oscurare il gesto di eroica civiltà che stavo compiendo. Dunque, col passare dei minuti acquisii consapevolezza, e con essa pure la tranquillità che serviva a convincere i poliziotti che nel restituire l'oggetto non c'era da parte mia alcuna malevola intenzione. Malgrado non fossero tenuti a farlo, a un certo punto ammisero che non si erano mai trovati in una situazione del genere, ma malgrado le perplessità alla fine accettarono di redigere un verbale di ritrovamento, di prendere in consegna – e prima ancora: finalmente toccare – il telefonino, che durante l'interrogatorio era rimasto lì, nella terra di nessuno compresa fra il sottoscritto e le istituzioni. Ci salutammo in maniera molto calorosa, loro col piacere di aver trovato un cittadino onesto, io col sentimento di chi è scampato a un errore giudiziario. E ancora oggi mi chiedo che fine abbia fatto quel telefonino, se è stato restituito al legittimo proprietario, se è stato possibile rintracciarlo, oppure se ancora giace su qualche scaffale del commissariato, in attesa di giustizia. Sarebbe un peccato. Ma di avere commesso un errore a consegnarlo, che avrei fatto meglio a tenermelo non l'ho mai pensato. Lo giuro: in nessun momento di questa storia.

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Roberto Alajmo | 12/03/2006

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