IL PIZZO SPIEGATO A MIO FIGLIO CHE LO SPIEGA A ME
Ieri notte mi è successo di fare un incubo: che mio figlio cresceva e decideva di fare il negoziante. La cosa è di quelle che a un genitore perbene, in Sicilia, mettono apprensione. Come se dicesse: papà, da grande voglio fare lo scalatore, o arruolarmi nella legione straniera. Era proprio mio figlio, e nel sogno aveva un'aria desolata, come quei negozianti ci sono, magari sono minoranza, ma ci sono che vorrebbero non pagarla, questa specie di tassazione impropria. Nell'incubo succedeva che io gli chiedevo come aveva fatto ad arrivare fino a questo punto, a fare il negoziante in Sicilia, ovvero nella patria del racket; ma lui farfugliava risposte sconclusionate che riguardavano il destino, il caso, la necessità. I sogni sono così: tu vorresti che seguissero dei percorsi logicamente lineari, ma quelli se ne fregano di te e delle tue esigenze di razionalità. Dovere di un buon padre è quello di educare il proprio figlio a non cacciarsi nei guai, ma una volta che c'è finito, cercare di tirarlo fuori. Per questo gli ho fatto tutta una predica, una vera e propria lezione di teoria dell'antimafia: non bisogna piegarsi, e il senso dello Stato, e Falcone, e Borsellino, e Libero Grassi, eccetera eccetera. Mio figlio ha ascoltato tutto con un disagio che sembrava crescere di momento in momento, dopodiché mi ha messo a tacere dicendomi una sola frase: papà, io pago. Così ho scoperto che mio figlio pagava il pizzo, e a me veniva il mal di pancia, perché certe cose non si dovrebbero pensare e nemmeno sognare. Invece pensarci diventa obbligatorio, in Sicilia. Succedeva allora quello che succede nei sogni, che le persone cambiano carattere. Mio figlio che nella vita reale è così mansueto, e così mansueto sembrava anche nel sogno improvvisamente mi aggrediva dicendo che io non potevo continuare a raccontargli la favoletta tutta teorica dell'antimafia. Che io non potevo prescrivergli il coraggio di non pagare. Specialmente perché lui era mio figlio e specialmente perché si trattava di questo Paese e di questo momento storico. Come prologo del sogno, mio figlio aveva ascoltato in televisione un ministro dichiarare che con la mafia bisogna convivere, e di questa frase mi chiedeva conto e ragione. Io gli dicevo che ogni tanto anche a un ministro può scappare qualche cazzata, e difatti a livello nazionale la cosa era stata classificata come l'ennesima boutade governativa e, nella confusione generale, presto liquidata. Allora mio figlio mi ha detto che a questo serve sparare molte cazzate: che poi qualche cazzata importante rischia di passare inosservata. A mio figlio negoziante, che viveva in Sicilia, la semplice frasetta pronunciata dal ministro qualche tempo fa era arrivata come arriva a valle, in forma di valanga, una palla di neve che qualcuno ha lanciato per malignità o anche semplice noia. Al che io nel sogno non sapevo cosa rispondere perché, sosteneva mio figlio, una frase del genere vale più del lavoro di decine di insegnanti che per anni e anni si erano sforzati di inculcargli a scuola il senso della legalità. Allora io ho dovuto confessare che, mettendomi nei panni di un ragazzo che si appresta ad entrare nella vita produttiva, il dubbio me lo sarei fatto venire: è più giusto ascoltare uno sfigato insegnante, teorico astratto dell'antimafia, o un autorevole ministro? Sosteneva nel sogno mio figlio che le istituzioni, in questi anni, nella lotta alla mafia hanno avuto un atteggiamento schizofrenico. Da un lato la fase repressiva: se non puntualissima, almeno volenterosa. Dall'altro, per quanto riguarda la fase propositiva, se si esclude l'antimafia da parata: zero assoluto. Anzi, tutta una serie di segnali in controtendenza che in Sicilia arrivavano chiari e forti. Chiarissimi e fortissimi. Per mio figlio anche in Sicilia valeva la legge del mercato: il cittadino si rivolge a chi gli offre la miglior qualità di servizi. E secondo lui moltissimi servizi istituzionali sono stati in quest'isola più o meno esplicitamente privatizzati e delegati a Cosa Nostra. Questo ottiene il negoziante in cambio del pizzo: servizi. Protezione, licenze annonarie, gestione controllata della concorrenza, prestiti agevolati, allacciamenti abusivi di luce, acqua e gas. Che poi siano servizi illegali, regole distorte, e che illegale e distorto sia il metodo di applicazione, è un altro discorso. Così come è un altro discorso che a trovare molto comodo pagare il racket sia la grande maggioranza dei negozianti se si esclude mio figlio, o almeno spero. Si fanno affari, col racket. Ci si marcia. A questo punto mio figlio, nel sogno, era un fiume in piena, e io non riuscivo a controbattere quando affermava che per la percentuale superstite di commercianti e imprenditori onesti, piccola o grande che sia, lo Stato non è in questo momento un'alternativa credibile. Non in Sicilia, dove Stato e Cosa Nostra si sovrappongono in continuazione. Mio figlio nell'incubo diceva di sentirsi come Giancarlo Giannini in Mimì Metallurgico. Per non sottostare alle vessazioni del capomafia locale, che è Turi Ferro, caratterizzato da un triangolo di nei sulla guancia, Mimì si rivolge al maresciallo dei carabinieri, che però è impersonato sempre da Turi Ferro, sempre con i tre nei sulla guancia. Allora scappa al nord, ma anche qui il procacciatore di lavoro è Turi Ferro coi tre nei. Allora va al sindacato, ma persino lì c'è Turi Ferro con i suoi nei. Nel sogno mio figlio aveva una gran cultura cinematografica, sapeva un sacco di cose. Sapeva che oggi non è più tempo di grandi attentati. Il tritolo, il negozio incendiato, sono retaggi del passato. Adesso basta lo stillicidio quotidiano del silicone versato nella serratura nel negozio. Basta una tanica lasciata sulla porta. Sono microavvertimenti, piccoli danni reiterati che non vale la pena di denunciare e neppure fanno più notizia; persino i quotidiani locali hanno smesso di parlarne. Allora nel mondo dei sogni io ero sul punto di invitare mio figlio a collaborare con le istituzioni, a fare fronte comune con gli altri negozianti onesti. Ma appena ho aperto bocca lui mi ha fatto una raffica di domande: Cinque anni fa il commissario antiracket era Tano Grasso. Sei in grado di dire chi è l'attuale commissario antiracket? Mi sai dire cosa fa l'attuale commissario antiracket? Esiste, attualmente, un commissario antiracket? Di fronte a queste domante io me ne sono stato zitto, perché in effetti, se questo signore non esiste o se resta nascosto nella sua tana, un motivo ci sarà. Così vengono letti certi segnali, in Sicilia. A questo punto mio figlio, che nel sogno era un bel po' saputello, sentiva di avere in mano la discussione e si è messo a fare sfoggio di metafore: la mafia è come l'acqua, prende la forma del contenitore che la accoglie. E se il contenitore della mafia sono le istituzioni, anche ammettendo che un livello fisiologico di inquinamento sia inevitabile, mai in tempi storici si ricorda una capienza di questa portata. La forma dell'acqua mafiosa oggi è un grande lago tranquillo, talmente fermo da risultare stagnante. Oggi come oggi infieriva mio figlio nel sogno il negoziante onesto viene messo nelle condizioni di chi si lancia nel campo avverso impugnando la bandiera della legalità, e una volta saltato il fossato si ritrova solo. Solo, malgrado tutte le rassicurazioni e i telefoni antiracket di questo mondo. E qui mi dava la mazzata finale, citando e parafrasando il mio intellettuale di riferimento preferito, Leonardo Sciascia: né con questo Stato, né con Cosa Nostra. Io lo so cosa avrei dovuto rispondergli, in sogno. Avrei dovuto rispondergli che noi siciliani, tramite elezioni, abbiamo abbondantemente contribuito alla deriva di questo Stato e di queste Istituzioni. Avrei dovuto controbattere che ci sono i segnali di una prossima, nuova ondata antimafia, che arriva soprattutto dai giovani che hanno riempito i muri di Palermo di adesivi contro il racket. Avrei dovuto ricordargli che proprio sul fatalismo, sul pessimismo è fondato il sottosviluppo che strangola la Sicilia. Ma prima di poterle dire, tutte queste belle cose, mi sono svegliato. E per fortuna era tutto un incubo. Mio figlio nella realtà aveva ancora nove anni. Appena si è accorto che ero sveglio è venuto tutto festante da me e mi ha detto che ha deciso: da grande vuole aprire un negozio di giocattoli. Si trattava di cominciare una discussione, ma ho preferito dargli due schiaffi e mandarlo in camera sua. Lui non sa perché, ma io sì.
Roberto Alajmo | 14/01/2006
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